Più soli, senza ius soli
La proposta di legge sullo ius soli e il corollario di prese di posizione, a favore o contrarie, che ne sono scaturite, mettono a nudo la pochezza di una classe politica che proprio non riesce a entrare seriamente nel merito delle questioni che affronta. Ogni occasione, ogni tema, anche se particolarmente delicato come questo, finisce per diventare pretesto per guadagnare consensi, da una parte e dall’altra. Quelli che si oppongono sfornano slogan che generano intolleranza e che vanno dalla “cittadinanza non si regala” alla “cittadinanza bisogna meritarsela”; chi invece si dichiara favorevole non riesce a controbattere a quelli che fanno leva sulle paure se non ricordando l’ovvio, ossia che si tratta di una battaglia di civiltà.
In questo panorama deprimente, la nostra piccola redazione, che da sempre professa la necessità di un giornalismo imparziale e che parta dal basso, su un tema di principio come questo ha deciso, una volta tanto, non solo di prendere apertamente posizione a favore dello ius soli, ma anche di provare a proporre agli scettici delle argomentazioni utili a capire che, al di là delle questioni di principio, in ballo ci sono anche altri aspetti molto importanti per il futuro del nostro Paese.
La questione demografica e in particolare il fatto che dal 1993 ad oggi, con la sola eccezione del 2004, in Italia il numero dei decessi sia stato inferiore a quello dei nuovi nati, per esempio, è il punto da cui partire per capire l’importanza economica e sociale degli “stranieri”. I dati ISTAT già nel 2015 fotografavano un paese sempre più anziano con un’età media di 44,4 anni, la più alta nel pianeta dopo il Giappone. Meno persone che lavorano equivalgono a minori entrate in termini di tasse e contributi previdenziali. Ogni giorno, in Italia ci sono 30 nuovi ultrasettantenni per un totale di 9 milioni di persone, tre volte di più che nel 1974. Lo stato sociale, ossia previdenza e assistenza sanitaria, sono messe in crisi proprio dalla parabola discendente della curva demografica. Nel solo 2015 l’INPS ha visto scendere il suo patrimonio netto – il denaro che garantisce il pagamento delle pensioni – di ben sette miliardi di euro rispetto all’anno precedente (da 18 a 11 miliardi di euro). Un trend che costringe i vertici dell’Istituto pensionistico a continue riforme per allontanare il rischio di registrare un saldo negativo entro breve tempo. Considerato inoltre che gli italiani fanno sempre meno figli, gli immigrati diventano l’unico argine a questo problema e già oggi rappresentano in tal senso una risorsa indispensabile, anche in termini di forza lavoro.
Ai puristi della razza, ai cosiddetti suprematisti italici, che non sono sensibili nemmeno a questioni di portafogli, ma che sono ancora convinti che il meltin’ pot non sia una strada possibile, andrebbero invece ricordati altri fattori, a esempio che nel nostro sangue “latino”, scorre già una miscela incredibile di culture ed esperienze diverse, le stesse che permisero agli antichi Romani di segnare così a lungo la storia delle civiltà occidentali e non solo. La strategia di inclusione che Roma mise in essere garantì ricchezza e prosperità economica e sociale, senza precedenti nella storia dell’umanità. Se l’imperatore Augusto non vi sembra un argomento convincente ai tempi di Internet, basta ripercorrere il tempo fino ad arrivare ai giorni nostri per capire che dietro all’egemonia statunitense, iniziata nella seconda metà del Novecento, non vi sia la sola potenza militare o le risorse di un paese tanto esteso geograficamente, ma proprio la grandezza di un sogno, quello americano, che ha attratto persone da tutto il mondo, Italia compresa. Culture ed intelligenze differenti hanno prodotto un’economia diventata un modello, ahimé globale, che sebbene sia oggi in crisi, è stato capace di imporsi su qualsiasi altro sistema, come dimostra l’avanzata della “economia di mercato” in Cina o in Russia.
A coloro che si oppongono allo ius soli, fondamentalmente solo per paura e ignoranza, nel senso etimologico del termine, vorremo infine ricordare che i circa 630.000 giovani che beneficerebbero in prima istanza dell’approvazione di questa legge, sono già italiani, non solo perché la stragrande maggioranza di loro è nata qui, ma perché già da anni frequentano le nostre scuole, parlano la nostra lingua e giocano con i nostri figli. Non c’è proprio niente di cui avere paura e davvero nessuna buona ragione quindi, per negare loro di essere, anche formalmente, degli italiani.
Amedeo Novelli
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