Vinco anch’io! No, tu no
Buone notizie per tutti gli over 40 come il sottoscritto che sono ancora convinti che il timbro clone sia uno strumento del genetista.
In un tragicomico crescendo rossiniano, negli ultimi mesi abbiamo assistito, una dopo l’altra, a una serie di figuracce legate all’uso per così dire improprio di Photoshop e simili. Giurie di concorsi più o meno importanti, si sono ritrovate nell’imbarazzante situazione di dover ritirare premi già attribuiti ad autori pizzicati a barare utilizzando più o meno intensivamente il fotoritocco. Si tratta di un vizietto odioso che è però la logica conseguenza, non della disponibilità di software sempre più sofisticati, quanto piuttosto della sempre minore diffusione di quella che potremmo riassumere come cultura fotografica.
L’abbassamento della difficoltà tecniche che il digitale ha portato con sé ha prodotto un aumento esponenziale di fotografi tutti “ISO, HDR e timbro clone” che ha finito inevitabilmente per scambiare l’immagine per la fotografia, quella vera. Quest’orda di appassionati ha letteralmente invaso i social, la rete e i forum con milioni di immagini e con una nuova classe di “maschi dominanti” che, per esempio, non conoscendo l’opera di Giacomelli, ne hanno commentato le foto con laconiche quanto esaustive perle di saggezza sulla “sovraesposizione eccessiva”, causando un danno culturale che va ben oltre l’ignoranza che palesano.
Tutta concentrata sul megapixel, questa generazione di fotografi ha ingolfato i server di tutto il mondo, quasi sempre con fotografie mediocri o che non hanno nulla da dire come i loro autori, finendo col soffocare tutto, a cominciare dalla formazione culturale, immolata sull’altare di tecnicismi fine a se stessi, quando non addirittura sbagliati. Questo scenario così cupo, per fortuna, è rotto all’orizzonte anche da prospettive di “redenzione e salvezza”, come testimoniato dai numeri in costante crescita dei visitatori delle grandi mostre di fotografia o dalla resistenza del mercato analogico, sostenuto anche da fotografi digitali nativi, incuriositi dal fascino della pellicola.
Prospettive positive invece non si intravedono nemmeno in lontananza per tutti quei “giudici” che, dall’alto della loro supposta esperienza, non hanno saputo riconoscere manipolazioni “monster” come quelle realizzate utilizzando soggetti tratti dai lavori di Mary Ellen Mark! Se la cultura fotografica passa da questi personaggi o se un grande maestro come Steve McCurry, preso con le mani nel sacco a Torino, si difende dicendo solo di “aver già licenziato il colpevole”, allora sì, non c’è da stare allegri.
Amedeo Novelli
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