Questo secondo numero dell’anno si apre con un reportage dall’Iran a opera di Gimmi Corvaro che racconta la rivoluzione silenziosa in atto nella società iraniana, fatta di piccole conquiste apparentemente insignificanti ma che sommate spostano sempre più in là i limiti imposti dal regime degli ayatollah. Una rivoluzione portata avanti quotidianamente soprattutto dalle donne per riconquistare spazi e diritti.
Abbiamo intervistato Francesco Faraci per farci raccontare il senso del lavoro di lungo termine contenuto in Malacarne, il libro edito da Crowdbooks e dedicato alla sua città, Palermo. Un lavoro controcorrente che ci guida nelle strade dei quartieri e dei rioni più difficili per raccontarne non solo il disagio ma la vitalità, grazie al sorriso dei suoi abitanti più piccoli. Dalla Cambogia arriva invece la strana storia di un’isola, Koh Pich nei pressi di Phnom Penh, dove tra speculazioni edilizie e voglia di modernità si testa un futuro per pochi nel nome di un modello globale di lusso e stile di vita che mette i brividi.
Massimo Podio ci riporta in Italia per farci conoscere un’esperienza positiva che ha coinvolto in un progetto teatrale detenuti e detenute del carcere romano di Rebibbia. Un raggio di luce nell’oscurità di una situazione carceraria che ci vede ancora agli ultimi posti in Europa quanto a rispetto dei diritti umani. Grazia Bucca ci porta nella regione del Bakur dove il governo turco di Erdogan sta operando una feroce repressione ai danni della resistenza curda. Una vera e propria guerra civile che passa più o meno inosservata ai più e che riapre il problema mai sopito del popolo curdo.
Completano il sommario di WJ86, Circus di Emanuele Giacomini, autore della foto di copertina, Stifelius di Domenico Tangro, bellissimo reportage sulla processione dei Misteri di Bitonto, il lavoro intelligente di Giulia Mangione sulla penisola della felicità, ossia la Danimarca e il reportage sul rinato quartiere di Bushwick a New York a firma di Tommaso Sacconi
World Press Photo
Come accade ormai puntualmente da qualche anno, la proclamazione dei vincitori del World Press Photo è stata l’occasione per scatenare sterili e inutili polemiche sul tipo di fotogiornalismo premiato. Semplificando, a fronteggiarsi sono due visioni diverse. La prima, se vogliamo più classica, identifica con il reportage lavori duri, diretti e senza filtri; la seconda promuove una fotografia più delicata, capace di trattare in punta di piedi anche temi forti e che in generale preferisce la metafora alla realtà nuda e cruda.
Detto che siamo convinti che un pluralismo di visioni non può che far bene al fotogionalismo stesso e ribadito che non è il contenitore formale l’elemento centrale, bensì il suo contenuto, crediamo che la giuria di quest’anno non avesse altra scelta che premiare lo scatto di Burhan Ozbilici come foto dell’anno. In un premio come il World Press Photo infatti, le scelte non sono fatte solo ed esclusivamente in termini estetici ma anche e soprattutto in termini di contenuti. L’immagine drammatica dell’attentatore che ha appena sparato all’ambasciatore russo in Turchia uccidendolo, è letteralmente un pezzo di storia che riassume in sé molto di più del solo fatto di cronaca che racconta. Questa fotografia è l’icona perfetta dell’anno appena conclusosi. Drammatica, dura, talmente vera da sembrare fiction e, soprattutto, capace di raccontare in un solo scatto tutta la tensione politica e la violenza di quella polveriera che è diventata la Turchia: teatro di un tentativo di golpe cui è seguita una repressione senza precedenti, crocevia di conflitti vecchi e recenti, baricentro politico di un equilibrio nuovo tra le potenze che ambiscono a controllare la grande area che si estende dall’Iraq alle ex repubbliche sovietiche, per arrivare fino alle porte dell’Europa.
Giusto così, dunque, anche perché facendo un passo indietro per allargare il proprio orizzonte, dalla foto di Buhran Ozbilici all’intero mosaico composto da tutti i lavori premiati, ne esce un quadro che conferma una volta di più l’importanza del fotogiornalismo, straordinario strumento di informazione, capace ancora oggi di raccontare la storia anche attraverso una sola immagine.
Amedeo Novelli
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