Witness Journal 84

In questo numero di WJ si parla di: disabilità, Cuba, tabacco, lavoro, carcere, riabilitazione, malattia, labirintite, solitudine, Turchia, Istanbul, minoranze, abbandono, architetture, colonie estive, ventennio, Balcani, est, Parigi, cambiamenti climatici, alluvioni, africa, tubercolosi e vaccinazioni

WJ84 cover | Fotografia di Michel Gustavo Martinez Guerra
WJ84 cover | Fotografia di Michel Gustavo Martinez Guerra

Il numero 84 di Witness Journal, l’ultimo del 2016, si apre con un servizio, Letizia, dedicato alla disabilità, tema di cui non ci occupavamo da troppo tempo, e ci racconta una storia difficile ma positiva, come il sorriso della sua protagonista. Dello stesso argomento si è occupata anche Ilaria Ferrara che ha saputo descrivere con tenerezza la storia di suo padre, colpito da una forma così acuta di labirintite da rendergli impossibile continuare a vivere in modo per così dire “normale”. Michel che ci porta in giro per le strade e per i probemi di Cuba, chiude questo trittico sul tema della disabilità, visto che a causa di una brutta malattia, ha perso il braccio destro ma ciò nonostante ha trovato la forza e il modo per continuare a fare il suo mestiere di fotografo. Oltre il muro, di Adriana Miani ci porta dietro le mura di un carcere femminile per raccontarci un frammento di vita all’interno dei penitenziari italiani, da anni sotto accusa per le condzioni e il sovraffollamento. Tarlabaşı, oltre che il nome di un quartiere-simbolo di Istanbul che sta scomparendo a causa dei progetti di riqualificazione urbana voluti da Erdogan, è soprattutto una storia dalla fine incerta che racconta la resistenza degli abitanti del quartiere in gran parte curdi, rom, nuovi migranti e rifugiati. Altrettanto interessanti anche perché in qualche modo legati tra loro, sono altri tre lavori di questo numero, quelli di Fabio Gubellini, Benedetta Ristori e Livio Morabito, che raccontano storie diverse ma in modo analogo, ossia indagando gli spazi dell’uomo per raccontarne vite e vicende. Chiude il numero il lavoro il reportage di Luca Brentari che ci fa riflettere una volta di più su un mondo spaccato a metà, quella povera in cui è normale morire a vent’anni per una tubercolosi non curata e quella ricca dove invece addirittura si discute sull’utilità delle vaccinazioni.

 

Michel
Potremmo parlare del referendum, della vittoria del no, del nuovo governo e delle dinamiche gattopardiane in vigore da decenni nel nostro Paese. Oppure della scomparsa di Fidel, del grande funerale e del futuro di Cuba. Invece parliamo di Michel e della sua storia, perfetta per un giornale come WJ che prova a fare informazione in modo differente mettendo al centro dell’attenzione vicende altrimenti destinate molto probabilmente all’oblio mediatico.

Il racconto di Michel inoltre, ha nel suo DNA anche altre cose che ci piacciono e che, ne siamo convinti, appartengono alla storia del nostro giornale: passione, perseveranza, costanza e resilienza.

Michel è nato nella provincia di Pinar del Rio, a Cuba. Sin da bambino ha coltivato il sogno di diventare fotografo, un sogno che, nonostante le difficoltà della vita e del contesto cubano, si è trasformato in realtà. Due anni fa però, il destino gli ha fatto un brutto scherzo: una malattia ha messo a rischio la sua vita e, per salvarlo, i medici sono stati costretti ad amputargli un braccio, il destro. Invece di arrendersi, nonostante una situazione a dir poco difficile, Michel ha lottato con la sua compagna e i suoi due figli, riuscendo a trovare un modo tutto suo per continuare a usare la macchina fotografica con il solo braccio sinistro, per di più ostinandosi a non abbandonare la tanto amata messa a fuoco manuale.

Ho conosciuto Michel qualche anno fa, quando ha partecipato ad alcuni dei miei workshop a Cuba, e ho scoperto una vera e propria forza della natura, un ragazzo straordinario che vuole vivere della sua passione, così travolgente da farti dimenticare della sua disabilità con solo pochi scambi di parole.

Per questo siamo molto felici di concludere il 2016 con una sua fotografia in copertina e con un numero ricco di storie e immagini tutt’altro che banali o scontate.

Come Michel, anche Witness Journal si appresta ad affrontare il nuovo anno, il decimo della nostra breve ma intensa storia, con la consueta pervicacia per diffondere in modo indipendente la cultura del fotogiornalismo, la grande passione che anima la redazione e i nostri autori, attratti e incuriositi soprattutto dalle persone e non solo dalle storie di cui sono protagoniste.

In direzione ostinata e contraria. Con passione, come un dovere. Sempre

Giulio Di Meo

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