Witness Journal 147

#WJ147, Il nuovo numero con i lavori di Eleonora Pannunzi e Antonio Romano, Mauro Morichi, Stefano Pontiggia, Michele Abbatangelo e di Fabio Lovati.

Witness Journal 147

#WJ147, Il nuovo numero con i lavori di Eleonora Pannunzi e Antonio Romano, Mauro Morichi, Stefano Pontiggia, Michele Abbatangelo e di Fabio Lovati.

Nuovo ordine, vecchio obiettivo

Mancano pochi giorni al primo anniversario del conflitto israelo-palestinese scoppiato dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e, come previsto, i combattimenti non accennano a diminuire, anzi si intensificano con l’apertura di un secondo fronte a Nord, ossia in Libano, con l’obiettivo di disinnescare la minaccia militare più significativa, ossia le milizie sciite di Hezbollah emanazione diretta dell’Iran, il Paese a capo di quello che Netanyahu definisce il “fronte del male”, locuzione più adatta a una saga hollywoodiana che alla geopolitica.

Un anno di conflitto: i numeri
Detto che in una guerra vera come questa i “numeri” sono un aspetto importante nel delicato conflitto mediatico per orientare a proprio favore il consenso dell’opinione pubblica, a oggi è più che evidente da che parte pende il piatto della bilancia anche perché a fronteggiarsi sono un esercito regolare moderno e avanzato, contro un’organizzazione paramilitare specializzata in atti terroristici e senza altri armamenti se non quelli leggeri.
Secondo Il Sole 24 Ore, al 18 settembre 2024, i palestinesi uccisi erano 41.272, mentre i feriti 95.551 (Fonte Ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas). Le stime dell’IDF e di altre fonti ufficiali israeliane raccontano che dal 7 ottobre ad oggi sono stati uccisi più di 1.546 tra cittadini dello stato ebraico e stranieri, di cui 346 soldati morti nei combattimenti, mentre sono stati 2.284 i militari rimasti feriti. Dunque, al momento il rapporto tra le vittime delle due parti in causa è di 26 palestinesi deceduti per ogni vittima israeliana. Se però si considera che l’attacco di Hamas ha causato la morte di 1.194 persone (859 civili e 335 tra militari e forze di polizia), il rapporto da quando è iniziata l’operazione israeliana è di 118 vittime palestinesi per ogni perdita israeliana. Un dato che parla da solo e che non ha bisogno di commenti anche se la parola genocidio resta un tabu, pena l’essere immediatamente tacciati di antisemitismo sebbene si tratti di una questione di matematica.

La situazione umanitaria
Oggi sono oltre un milione i palestinesi con status di rifugiato a Gaza: più dei due terzi dell’intera popolazione (1,4 milioni). L’agenzia delle Nazioni Unite UNRWA, che ha una storia fatta di luci e ombre, deve dunque occuparsi di fornire assistenza alimentare a più di un milione di persone, operando a conflitto in corso.
Secondo i dati dell’OMS sui tipi di feriti del conflitto in corso a Gaza, si stima che un quarto, circa 22.500, abbiano riportato ferite invalidanti che richiedono servizi di riabilitazione ora come negli anni a venire (dati aggiornati al 23 luglio).

Politica: la tempesta perfetta
Per capire come Israele possa proseguire senza troppe pressioni né ostacoli la propria campagna bellica basta fare un’istantanea della situazione interna e non, dei principali attori in campo.
Gli Stai Uniti, storico alleato israeliano, vivono una crisi che non ha precedenti, sia sul piano interno, sia su quello internazionale. Impantanati in una guerra per procura con la Russia in Ucraina, con il “problema” Cina da risolvere e con l’alleato storico israeliano del tutto fuori dal suo controllo, ad agitare il fronte medio-orientale, l’amministrazione Dem tra trenta giorni deve anche riuscire a vincere le elezioni dall’esito tutt’altro che scontato.
Il fronte arabo pro Palestina, da parte sua, si è disgregato da tempo tra lotte interne più di natura geopolitica che religiosa e, con la Siria azzerata, il “fronte del male” appare coincidente con il solo Iran e i suoi “derivati”.
La Cina ufficialmente non interviene, si limita a una punteggiatura in sede ONU, gioca certamente un ruolo invisibile in Ucraina come in Medio Oriente ma di fatto resta alla finestra a osservare l’inutilità politica dell’Unione Europea e lo sgretolamento dell’egemonia americana. Tutto fieno in cascina per Pechino.
Negli ultimi decenni, l’asse politico israeliano si è spostato sempre più a destra e con esso anche le politiche sulla questione palestinese come testimoniato dalla costante espansione dei confini attraverso la costruzione di nuovi insediamenti. La risposta all’assurda e orrenda strage del 7 ottobre messa in atto da Hamas, ha segnato un salto di livello sostanziale. Stop alla strategia degli attacchi “mirati”, sostituita da una vera guerra di invasione capace di cambiare per sempre la geopolitica dell’area. Il totale disinteresse per i danni collaterali è un messaggio chiaro per tutti: per Hamas, per l’Iran, ma anche per gli USA e per la comunità internazionale intera, le cui proteste o proposte sono destinate a restare un inascoltato rumore di fondo.

Fotografi e fotografia
Visto che non si può chiedere a chi scrive di spingersi oltre a ciò che è già accaduto, guardando a ciò che abbiamo davanti abbiamo la sola certezza che gli anni che ci apprestiamo a vivere saranno importanti per il cambiamento che produrranno, nel bene e nel male. Una rivoluzione di portata epocale è alle porte e, per il microscopico mondo della fotografia e i suoi abitanti, essa rappresenterà sia un’opportunità, sia una grande responsabilità. La fotografia documentaristica in particolare avrà un ruolo centrale sia nell’informare, sia nel creare un archivio storico globale capace di raccontare come eravamo, nonché il processo attraverso il quali saremo divenuti altro. In un momento storico dove l’informazione indipendente, da valore democratico fondamentale si è tramutato in fastidioso problema per i governi, toccherà ai singoli fare da soli o provare a organizzarsi in nuove associazioni per narrare più che i conflitti, tutte le piccole grandi trasformazioni della nostra società, possibilmente senza aspettare che siano le AI a farlo.

Amedeo Novelli


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