Witness Journal 134
#WJ134, ultimo numero del 2022 con i lavori di Raffaele Maiullari, Nicola Tanzini, Alessandro Ingoglia, Giacomo Busi, Marco Riccioli, Luigi Lorentoni e Lázaro Omar Valdés Quintana.
Fotografo ergo sum
La copertina di questo numero se l’è presa con merito il servizio di Nicola Tanzini che esplora un tema legato a doppio filo sia con l’uso della fotografia, sia con i cambiamenti della nostra società. Grazie o per colpa dei social, a seconda dei punti di vista, la narrazione del sé è infatti diventata un elemento centrale delle vite delle persone e, nei casi più estremi, ha trasformato una vacanza o un viaggio da occasione per conoscere nuovi luoghi e con essi persone e culture, in una missione per celebrarsi, spesso con il solo obiettivo di accrescere il numero dei propri accoliti online per raggiungere l’agognato stato di influencer.
Una vera e propria distorsione che non deve essere banalizzata ma osservata con attenzione e, se possibile, senza pregiudizi per capire quali sono e saranno i suoi effetti a medio e lungo termine sulla società stessa. Per chi come noi si occupa di fotografia c’è poi un altro aspetto non secondario generato da questa tendenza, ovverosia gli effetti che esso produce sulla fotografia stessa.
L’omologazione visuale verso cui i social network spingono le persone è infatti tutt’altro che un fattore positivo, perché ha l’effetto di ridurre al minimo, se non azzerare del tutto, il punto di vista del singolo, sacrificandolo sull’altare del modello che garantirebbe maggior successo in termini di like, producendo così una narrazione unica e stereotipata dei luoghi e delle persone, come dimostra ampiamente l’account Insta_repeat creato dalla fotografa Emma Agnes Sheffer. Fa davvero impressione guardare migliaia di immagini praticamente identiche tra loro al punto da risultare trasparenti e invisibili agli occhi di chi le osserva, così come lascia ancora più perplessi pensare che le persone programmino i viaggi scegliendo gli itinerari non in base ai loro interessi ma in funzione delle mete ove poter realizzare una di queste inutili e fotograficamente insignificanti immagini.
L’omologazione generata da questo meccanismo perverso è l’antitesi della fotografia che da sempre ha trovato nel pluralismo delle visioni dei singoli autori la sua forza, nonché il motore capace di generare nuovi linguaggi necessari per raccontare una società in costante evoluzione. In un meccanismo proprio di qualsiasi forma d’arte, la conoscenza dei lavori di coloro che ci hanno preceduto è da sempre un bagaglio indispensabile per costruire quelle basi solide e imprescindibili da cui partire per sviluppare linguaggi nuovi e personali capaci di raccontare il tempo in cui viviamo. Per questo, assodato che il problema non sono i social ma i meccanismi perversi che possono generare, è evidente l’importanza di una riflessione seria sul nostro rapporto con essi, per riappropriarci delle nostre identità visuali, coltivarle e farle crescere anche se questo vorrà dire raccogliere pochi like o cuoricini.
La redazione