Buoni e cattivi
La storia di Julian Assange, al di là delle opinioni di ciascuno di noi, impone una riflessione, meglio se autocritica, sul modello democratico, vanto e vessillo del blocco occidentale di cui siamo parte, sia politicamente, sia culturalmente. I principi cui si ispirano le nostre democrazie non devono essere messe in discussione ma è necessario che lo sia la loro effettiva e trasparente applicazione all’interno delle politiche e delle scelte dei nostri governi, a cominciare ovviamente da quello statunitense.
Se riteniamo davvero che diritti civili, libertà, pari opportunità e tutti gli altri principi fondamentali su cui si basano le carte costituzionali dei nostri paesi diventino davvero un modello da esportare, meglio se non attraverso azioni militari che poco hanno a che fare con l’autodeterminazione dei popoli, la prima cosa da fare è renderlo nuovamente credibile sia agli occhi dei cittadini che ne fanno parte, sia a quelli di coloro che invece vivono sotto regimi dichiaratamente antidemocratici.
Anche se può sembrare una provocazione, proviamo a fare un parallelo delle vicende del già citato Julian Assange e di Aleksej Navalny, il blogger e attivista russo, finito nel mirino di Putin per aver denunciato a più riprese e su più fronti l’operato del presidentissimo russo, oggi rinchiuso in un carcere, dopo essere sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento. Anche tenendo conto di tutte le differenze dei contesti in cui sono ambientate le storie di questi due giornalisti sui generis, è impossibile non notare le numerose analogie. Sia Assange che Navalny, infatti, hanno usato l’informazione e in particolare le opportunità offerte dalle piattaforme digitali, per denunciare fatti gravissimi e che non dovrebbero essere nascosti all’opinione pubblica e agli elettorati, specialmente all’interno di un contesto democratico.
L’Europa indignata che protesta per il trattamento di Navalny, però è in parte la stessa che da undici lunghi anni si accanisce su un cittadino australiano, reo di aver reso pubblici attraverso la Rete una serie di documenti, compresi molti fascicoli segretati, che hanno svelato retroscena politici e militari al di sopra della legge e per questo inaccettabili.
Wikipedia riporta puntualmente buona parte degli elementi e dei passaggi chiave della vicenda giudiziaria di Julian Assange. Leggerla aiuta a capire meglio tante cose e, cosa più importante, a farsi un’opinione propria in merito. Quel che è certo è che nonostante lo sforzo di Amnesty International e di altre organizzazioni che si occupano di diritti umani, delle prese di posizione di alcune importanti istituzioni europee e dell’ONU, delle iniziative di molti intellettuali, politici e comuni cittadini, Julian Assange dopo un calvario di 11 anni di detenzione resta ancora sotto custodia a scopo esclusivamente preventivo e per garantire la sua presenza durante il processo di estradizione negli Stati Uniti, un procedimento che peraltro potrebbe durare ancora diversi anni.
Nel 1972 il lavoro di due giornalisti svelò agli americani un clamoroso caso di spionaggio organizzato dal presidente Nixon ai danni del partito democratico e che, due anni dopo, lo costrinse alle dimissioni. Gli autori del Watergate, Bob Woodward e Carl Bernstein, fecero vincere il prestigioso premio Pulitzer al Washington Post e furono giustamente celebrati per il loro impegno a difesa della democrazia americana.
Sono passati solo 50 anni ma sembrano molti di più.
Amedeo Novelli