Libere e uguali
Quello della violenza sulle donne è un problema antico, che da sempre ha la caratteristica di restare più o meno invisibile fino a quando, la quotidianità di una coppia apparentemente normale non si trasforma in una terribile notizia di cronaca nera sulle pagine dei quotidiani o nei titoli di apertura dei telegiornali. Quello della violenza di genere si può paragonare a un enorme torrente carsico che scorre sempre più o meno impetuoso sotto terra ma in modo silenzioso, salvo emergere qua e là in modo drammatico ma per così dire locale, ogni volta che dalle botte quotidiane si passa al femminicidio.
Negli ultimi anni, va detto, l’attenzione mediatica è aumentata ma né l’informazione, né le numerose iniziative di sensibilizzazione, almeno per ora, hanno prodotto risultati significativi in termini di numeri, anzi, a causa del lockdown, la situazione statisticamente è apparsa addirittura peggiorare.
Per risolvere il problema il parlamento finora ha agito, con risultati alterni, intervenendo soprattutto su tre fronti principali: l’inasprimento delle misure penali, il potenziamento delle campagne di sensibilizzazione e l’istituzione di strumenti volti ad aiutare le donne che stanno subendo violenza tra le mura domestiche, come per esempio la help line 1522, ossia il numero che offre aiuto e sostegno alle vittime di violenza e stalking.
Lo sforzo e l’attenzione dunque ci sono stati, i risultati positivi per ora un po’ meno ma questo non deve demoralizzare ma al contrario, essere da sprono a fare ancora di più. Alla strategia di cura messa in campo finora però, dovrebbero essere aggiunti almeno altri due pilastri. Il primo, che riguarda il fronte dell’emergenza, è un meccanismo più ampio e forte di tutela e aiuto per le donne nel percorso di allontanamento dalla propria casa che preveda anche un vero sostegno economico nel tempo: la prospettiva di una nuova vita è fondamentale per riuscire a vincere la paura, così come una forma di sussidio lo è altrettanto per accompagnare le vittime di violenza nel processo di costruzione di un futuro diverso.
Il secondo pilastro, l’unico che potrebbe forse progressivamente porre fine un giorno a questa tragedia che caratterizza le nostre società dalla notte dei tempi, è una potente, articolata e complessa operazione culturale che smonti alla base quei meccanismi su cui poggia il presunto diritto di un uomo di considerare la sua compagna né più, né meno come un oggetto di sua proprietà. La malattia di cui stiamo parlando, se così si può definire, ha infatti quasi sempre basi culturali e una serie di date chiave della storia del nostro ordinamento giudiziario lo dimostrano inequivocabilmente.
1968, anno dell’abrogazione del reato di adulterio
1970, introduzione del divorzio (legge 898)
1975, anno della riforma del diritto di famiglia nel (legge 151)
1978, introduzione dell’aborto (legge 194)
Solo il 5 agosto del 1981 sono state finalmente abrogate le disposizioni sul delitto d’onore (legge 442). In pratica fino a solo quattro decadi fa, uccidere in Italia il coniuge fedifrago garantiva una pena per così dire leggera da un minimo di tre anni a un massimo di sette, poco di più di quanto previsto per un omicidio colposo.
Queste date, tradotte in termini generazionali, per esempio, raccontano che gli attuali cinquantenni italiani sono nati in una società che giustificava seppur indirettamente la violenza all’interno della sfera familiare anche attraverso quelle leggi che nel loro insieme privavano le donne di molti di quei diritti fondamentali anche solo per poter ambire all’emancipazione dallo status di mamma e moglie, e non restare, di fatto, sotto una ferrea sudditanza maschile. Ecco perché, oltre che sull’emergenza, occorre iniziare a lavorare subito e meglio sulle basi culturali della nostra società affinché un giorno faccia propria la parità di genere come una sorta di diritto naturale, che non abbia più bisogno di quote rosa ma che ponga davvero e definitivamente sullo stesso piano uomini e donne.
Amedeo Novelli