Tempo scaduto
A quasi diciotto mesi dall’inizio della pandemia, il mondo del lavoro si appresta a confrontarsi per davvero con gli effetti causati dal Covid-19 sulle nostre economie e, stando a quello che ci hanno raccontato le cronache di queste ultime settimane, lo scenario che ci aspetta sarà certamente peggiore di quello visto nei mesi trascorsi nei vari lockdown.
Gli strumenti straordinari messi in atto dai due esecutivi che si sono avvicendati durante l’emergenza sanitaria per evitare il tracollo economico delle aziende e di conseguenza quello del nostro PIL stanno infatti per cessare, e il timore, più che fondato, è che si stia per aprire una stagione durissima sul fronte occupazionale. La fine del blocco dei licenziamenti, così come quello delle casse integrazione straordinarie, solleverà il sipario su migliaia di aziende piccole, medie e grandi che hanno visto il proprio fatturato crollare, con le conseguenze che possiamo immaginare sia nel breve che nel medio periodo. A rischiare di più saranno soprattutto le realtà più piccole, quelle invisibili anche in termini di rappresentanza sindacale o dal punto di vista mediatico, che hanno ricevuto aiuti a fondo perduto ridicoli se non canzonatori, compresi in media tra cinquemila e diecimila euro a fronte di un calo del fatturato che in media è ben al di sotto del cinquanta percento. Sopra ci sono le cosiddette PMI il cui destino varierà per lo più in funzione dell’andamento del mercato in cui operano, con previsioni pessime soprattutto per settori storici del “made in italy” come per esempio il tessile. Per paradosso mano a mano che se si sale di dimensioni, la situazione appare via via più stabile, anche se c’è da scommettere che molte multinazionali sfrutteranno l’occasione “crisi” per speculare ed effettuare comunque tagli e riorganizzazioni.
Come ci hanno dimostrato episodi di cronaca tanto tragici quanto assurdi, i lavoratori si preparano ad affrontare questa stagione difficilissima, non compatti ma frammentati e lacerati da divisioni sempre più profonde, con comportamenti che sono tutt’altro che solidali verso chi ha perso il posto e protesta per difendere il più importante dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione, quello al lavoro. E’ la guerra tra poveri, la stessa che rischia di dare ulteriore linfa a tutte le altre forme di sfruttamento a cominciare dal caporalato, la schiavitù del terzo millennio.
Il tanto atteso Recovery Plan non si occuperà direttamente di tutto questo (o lo farà solo in piccola parte) e servirà semmai a un’altra questione cruciale, ossia ridisegnare il futuro del Paese nel suo insieme a partire dall’economia ma non solo. Per questo, per superare i mesi difficili che il mondo del lavoro si appresta ad affrontare sarà necessario trovare soluzioni capaci almeno di frenare sul nascere pericolose tensioni sociali, come quelle andate in scena a Biandrate con la morte di Adil Belakhdim o nel lodigiano, con il pestaggio organizzato di un gruppo di lavoratori in sciopero fuori dai cancelli di una azienda logistica, da parte di alcuni loro ex colleghi.
Sperando che l’emergenza sanitaria sia davvero ai titoli di coda, dunque, occorre mettere a punto un piano che consenta di assorbire quanto più possibile gli effetti sociali della nuova crisi occupazionale che bussa alle nostre porte. Strumenti e soluzioni per aiutare imprenditori e lavoratori ma anche misure concrete di aiuto alle famiglie che saranno colpite più duramente dalla perdita di posti di lavoro. Tutte cose che al momento non sembrano essere nell’agenda di questo esecutivo.
Amedeo Novelli