
Foto di Valerio Nicolosi e Daniele Napolitano
Riscrivere il futuro
La fotografia, intesa come professione, stava già vivendo un momento di trasformazione particolarmente complesso, sospesa a metà tra vecchi e nuovi mercati. Con la pandemia e il conseguente distanziamento sociale le cose si sono ulteriormente complicate e per questo crediamo sia importante provare a capire ora come organizzarsi per i prossimi mesi, quando speriamo, il lockdown sarà finito ma dovremo convivere con nuove regole che ci obbligheranno a vivere diversamente la nostra socialità. Concerti, eventi, manifestazioni sportive e perfino i matrimoni dovranno infatti fare i conti con regole anti contagio, dispositivi di protezione personale e un lungo elenco di divieti che renderanno difficile se non impossibile svolgere la professione del fotografo.
Cosa fare allora? Innanzitutto occorrerà fare ricorso a tutte le soluzioni tecnologiche già disponibili anche se ciò implicherà una limitazione della creatività. Sistemi di scatto remoto, set di autoritratti o soluzioni più fantasiose dovranno sostituire, laddove possibile, modalità di lavoro consolidate da anni ma non più applicabili ancora per molti mesi. Lo stesso dovrà fare chi si occupa di formazione, facendo ricorso a soluzioni streaming, di videoconferenza o a piattaforme di e-training, come per esempio Moodle.org, tenendo però ben presente che si dovrà per forza di cose anche cambiare di conseguenza l’approccio didattico.
Per quanto riguarda la fotografia sociale, ossia l’attività su cui Witness Journal si concentra di più come associazione, lo scenario appare particolarmente complesso e anche un po’ contraddittorio. Infatti, se da una parte è presumibile pensare che gli effetti della pandemia si faranno sentire soprattutto sulle fasce più deboli e in quelle zone del Paese dove l’emergenza sociale esisteva già prima del Covid-19, dall’altra sarà più difficile trovare mezzi e modi per proporre progetti come quelli che abbiamo realizzato fino ad oggi. Per riuscirci dovremo rendere più forte sia la “rete” tra gli associati, sia quella con altre associazioni, con gli enti pubblici e le fondazioni private che già ora stanno lavorando alla definizione di nuove modalità di intervento capaci di intercettare i bisogni delle realtà più difficili e in maggiore sofferenza. Dovremo raccontare e combattere soprattutto le nuove povertà che la pandemia lascerà sul campo, in uno sforzo collettivo che non deve essere finalizzato alla sola documentazione di questo momento storico che è sicuramente uno dei nostri compiti ma non l’unico. Se riusciremo a partecipare a progetti più ampi, come è avvenuto nel caso di Oltre, riusciremo di nuovo a trasformare la fotografia in uno strumento utile non solo per raccontare le vite delle persone ma anche per cambiarle in meglio.
La redazione