Ventimiglia, Luglio 2020

Ventimiglia, cittadina frontaliera tra Italia e Francia, dopo la quarantena é tornata ad essere il teatro di migliaia di vite in viaggio, bloccate e respinte con poco rispetto dei diritti umani e sul diritto d’asilo.

Ventimiglia, Luglio 2020
Foto di Emanuela Zampa

Foto e testo di Emanuela Zampa

Finita la quarantena, la vita ha ricominciato a scorrere quasi come prima ovunque, anche i flussi migratori. Ventimiglia, cittadina frontaliera tra Italia e Francia, dove Shengen é sospeso dal 2015, é tornata ad essere il teatro di migliaia di vite in viaggio, bloccate e respinte con poco rispetto dei diritti umani e sul diritto d’asilo. Il flusso é già intenso: se lo scorso ottobre erano un centinaio al giorno i respinti dalla frontiera francese, durante la quarantena, tra marzo e aprile, sono stati solo 107, mentre al momento siamo tornati a 50-80 al giorno. Ma ora sono doppi, anche dalla frontiera italiana, che vede un flusso in ingresso chi, già in Francia irregolare, torna verso l’Italia per provare ad ottenere i documenti tramite la tanto pubblicizzata regolarizzazione. Si spingono fino a Sud, in cerca di un lavoro per rientrare nei criteri. Se non riescono tornano indietro, restando poi bloccati dal lato italiano.

In città nessuno accoglie queste persone: il campo gestito dalla Croce Rossa é rimasto chiuso causa Covid fino a Giugno inoltrato ed al momento sta venendo progressivamente svuotato mentre non accetta nessun nuovo ospite. L’obbiettivo, come dichiarato lo scorso 2 Luglio dal prefetto Michele Di Bari durante un vertice a cui hanno partecipato le maggiori autorità civili e militari della provincia, é di trovare una “soluzione finale” al problema dell’immigrazione a Ventimiglia, teso a tenere le persone in costante movimento, non facendole nemmeno arrivare nel territorio tramite un sistema di controllo volto a creare “un’accoglienza transitoria molto provvisoria”.

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Foto di Emanuela Zampa

Intanto, tra le 200 e le 300 persone si trovano bloccate al confine, senza alcun luogo dove andare, in una città militarizzata, scrutati dalla maggior pare dei cittadini e dei turisti. Si trovano costrette a dormire nascoste nella boscaglia, lungo il fiume Roja, in spiaggia presso la foce. Nel fiume lavano se stessi ed il loro unico cambio di vestiti, mentre i bagnanti li scrutano. Il cibo possono trovarlo una volta al giorno presso la Caritas, mentre la sera un piccolo gruppo di volontari porta la cena – come tutte le sere negli ultimi 5 anni –  vicino al cimitero. 

Arrivano dal Sudan, Marocco, Afghanistan, Pakistan. Passano dalla Libia, dalla rotta balcanica o sono già stati respinti da altri paesi e fanno un secondo giro.

Isolati, discriminati e abbandonati a loro stessi in una forzata mobilità costante che esaurisce le loro risorse, i migranti bloccati al confine diventano facili prede di una rete che é sempre più evidente, quella di passeur e trafficanti. 

Foto di Emanuela Zampa

Soli, spaventati e diffidenti, la macchina fotografica é come un passaporto: permette di passare la frontiera invisibile tra “noi” e “loro” e raccogliere le storie di chi si trova bloccato da un sistema di controllo che seleziona il valore degli esseri umani in base al luogo di nascita.

Come quella di L. 19 anni, somala. Passata dalla Turchia e attraverso la rotta balcanica, la incontro appena respinta dalla Francia insieme ad altre due donne africane ed una bimba. Non dormono da due giorni e non mangiano né bevono dalla sera prima. Le mostro dove si trova la fermata del bus per tornare a Ventimiglia, e nel tempo che impiego per andare a recuperare dei viveri, al mio ritorno sono arrivati alcuni panjabi dalla rotta balcanica e due uomini africani. Uno di loro dice di aver “chiamato un amico” che li verrà a prendere. Arriva nel giro di pochi minuti, carica le due ragazze e la bambina. L. mi guarda. Non vuole andare, ha paura, ma il suo cellulare é rimasto nella borsa di una delle altre due, così sale sulla macchina e mi scompare da davanti.

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Foto di Emanuela Zampa

A., 22 anni, anche lui somalo, era in Libia ed é sbarcato da poche di settimane, appassionato di fotografia, ha recuperato una Canon con cui mi fotografa mentre lo fotografo. 

Vive lungo il fiume, verso la foce, e dopo qualche settimana in frontiera ha capito il gioco e deciso di restare. Ha ancora sorrisi e speranza, anche mentre mi saluta per la sera, sistemando il cartone in cui dormirà. Insieme a lui c’é M. anche lui somalo. Ha sessant’anni ed un solo dente. A. fa da interprete e gli chiedo cosa lo abbia spinto a lasciare casa sua, attraversare il deserto, la Libia ed il mare. Risponde che di guerra non ne poteva più, e che non aveva più nessuno. Preferisce la spiaggia di Ventimiglia, perché almeno, c’é pace e libertà.

Foto di Emanuela Zampa