Una istantanea lunga una vita

Qualche giorno fa si è spento a Fermo Mario Dondero. Un uomo eccezionale per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, un grande fotografo per chi invece ha conosciuto almeno il suo lavoro

Mario Dondero ritratto da Danilo De Marco
Mario Dondero ritratto da Danilo De Marco

Ci sono vite che vale proprio la pena vivere e quella di Mario Dondero è certamente una di queste. Partigiano “Bocia” nella brigata Val D’Ossola a 16 anni, qualche anno dopo è tra i protagonisti inconsapevoli della “vita agra”, la straordinaria stagione di sogni e speranze vissuta intorno al bar Jamaica in Brera e raccontata da Luciano Bianciardi. Dondero frequenta un gruppo di amici tra cui spiccano i nomi di Piero Manzoni, Lucio Fontana, Camilla Cederna, Ugo Mulas, Uliano Lucas e Gianni Berengo Gardin. Una piccola avanguardia culturale che da li a pochi anni avrebbe vissuto, raccontato e rappresentato quel profondo vento di cambiamenti sociali e culturali che rimodelleranno non senza dolore anche il nostro Paese. Nel Sessantotto, Dondero è a Parigi, epicentro della rivoluzione giovanile che stava per esplodere in tutta Europa. La Ville Lumiére è probabilmente il luogo dove Dondero completa la sua formazione umana, sociale e politica e certamente è il luogo da cui parte per il viaggio di una vita libera. Serio, rigoroso, eticamente ineccepibile, Dondero è riuscito a interpretare la figura del reporter indipendente meglio di qualsiasi altro sebbene lo abbia fatto seguendo percorsi differenti da quelli che ci si aspetterebbe. La fotografia che aveva scelto come strumento di “assoluta testimonianza” si coniugava alla perfezione con un’umanità straripante e sempre protesa verso l’esterno, verso le persone. Uno slancio potente e spontaneo che non poteva lasciare indifferenti e che si riflette in fotografie capaci di “testimoniare” ma anche e soprattutto di emozionare. Nel suo viaggio senza soste, Dondero racconta la seconda metà del Novecento, apparentemente quasi senza accorgersene e sicuramente mostrando un apparente distacco dall’importanza reale del proprio lavoro. Parlando del suo non-archivio fotografico, così amava definirlo, ricordava spesso come l’unico vero luogo dove raccogliere i ricordi fosse per lui la memoria. Chi lo frequentava sa bene come e quanto amasse raccontare tutto quello che c’era dietro ogni singola fotografia. I retroscena, il quadro politico o altri dettagli su ogni personaggio che aveva ritratto.
Con la sua morte, l’Italia perde un altro pezzo della sua storia più recente ma soprattutto perde un uomo eccezionale, nel senso etimologico del termine, che ha scelto di vivere raccontando il mondo e i protagonisti della sua storia.