Un anno di Casa Jannacci #3

Terzo appuntamento con la rubrica per raccontare il torneo primaverile Csi di Milano

Un anno di Casa Jannacci #3 3

L’unico colore che conta è quello della casacca

Di Alessio Chiodi / Foto di Alessandro Barile, Diego Cantore,
Alessio Chiodi, Nicola Sacco, Paola Tarroni

“I scarp del tennis” indossano ora “i scarp del balòn” direbbe Enzo Jannacci. Una ventina di giovani che arrivano da Afghanistan, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Marocco, Senegal e Nigeria che hanno deciso di giocare tutti dalla stessa parte del campo vestendo di bianco e di rosso. Un melting pot ben riuscito e fortemente voluto da Massimo Gottardi, direttore dalla Casa accoglienza Enzo Jannacci di Milano e altrettanto ben orchestrato da bordo campo dal mister Rocco Romano.

I preparativi

Il nome della squadra è “El me indiriss Ortles 69” ed esordisce nel campionato open primaverile di calcio a 7 Csi di Milano, girone Q. A fine Febbraio arrivano le maglie della squadra e l’adunata si svolge in breve tempo. Massimo Gottardi, promotore dell’iniziativa insieme alla sua squadra di assistenti sociali e collaboratori, distribuisce le maglie ai futuri giocatori. Foto di rito, sorrisi rompighiaccio e qualche battuta. Poi gli allenamenti, di sera, al campo dell’oratorio San Luigi non distante da piazzale Lodi. Riscaldamento e partitella per provare gli schemi, vedere se i meccanismi di gioco funzionano. Capire se c’è sintonia tra ragazzi che non sono mai stati insieme su un campo da calcio. Mister Rocco vuole soprattutto questo. Le amichevoli successive, poi, confermano l’affiatamento. La palla gira e i ragazzi corrono.

Il campionato

Il girone Q prevede sei incontri. L’esordio è viziato da una sconfitta per 2-0, ma il pareggio al secondo incontro e la vittoria nel terzo match garantiscono alla squadra di mister Rocco un buon secondo posto e una differenza reti invidiabile. Undici reti segnate. Al di là dei risultati in campo, il progetto che la Casa Jannacci ha messo in piedi mira a mettere insieme ragazzi con storie diverse, ma accomunati dalla voglia di riscatto dopo essere fuggiti dalla difficile realtà dei propri Paesi d’origine. La creazione di questa squadra fa sì che anche la barriera linguistica non sia insormontabile. Alcuni non parlano bene l’italiano, sono arrivati da poco. Un po’ di inglese basta per farsi capire, ma alla fine a parlare per tutti sono le gambe. Lo scatto sulla fascia, il contrasto spalla a spalla, il colpo di testa decisivo. Alla fine parlano i fatti, gli abbracci dopo il gol e la disperazione per una rete mancata. Certo i tre punti in campionato sono importanti. Motivano, danno la spinta per andare avanti. Ma vuoi mettere un nigeriano che abbraccia sorridente il suo compagno senegalese, mentre l’allenatore italiano, da bordo campo, mima gli schemi da seguire? Alla fine, comunque, la squadra ha ben figurato. La competizione per “El me indiriss Ortles 69” si conclude al primo turno a un passo dal passaggio alla fase successiva. Decisiva la sconfitta a San Donato nell’ultima giornata. Uno spareggio andato male.