Un anno di Casa Jannacci #11

Un anno di Casa Jannacci #11 6

Supercoppa della mondialità: l’impegno (sociale) prima di tutto

Di Alessio Chiodi / Foto di Alessio Chiodi

Quattordici leoni in campo. Da fuori si potevano sentire i ruggiti. Una partita secca, senza seconde chance. Due tempi da venti minuti l’uno per decidere chi, tra El me indiriss Ortles 69 e Panafrica Bresso United avrebbe alzato la prima Supercoppa della mondialità. Non sono mancati i colpi di scena, i gol e scontri duri. Alla fine un 3 a 2 che lascia un po’ di amaro in bocca ai ragazzi della Jannacci che si vedono soffiare, per un pelo, il trofeo dagli avversari.

La sfida nel cuore di Milano

La partita si disputa nel campo dell’oratorio della Basilica di San Simpliciano, a Brera. I ragazzi di mister Rocco arrivano in anticipo e approfittano del tempo a disposizione per scaldarsi a dovere. Arrivano anche gli avversari e l’arbitro e si comincia. C’è fiducia in panchina anche se è oggettivo il divario tecnico e atletico tra le due squadre. Il Panafrica ha vinto il torneo dei migranti, El me indiriss è stata eliminata in primavera nel torneo del Csi per un niente. Inoltre i giocatori di Bresso sono molto più affiatati, giocano insieme da più tempo e seguono meglio gli schemi impartiti dalla panchina. I giovani della Jannacci hanno subìto delle defezioni importanti. Non c’è un portiere di ruolo e alcuni dei partecipanti del torneo Csi hanno deciso di dedicarsi al lavoro o sono usciti dall’istituto. Un “difetto”, quello del turn over, di cui sia Massimo Gottardi che mister Rocco sono consapevoli. Si inizia con la presentazione dei singoli giocatori delle due rappresentative seguita da un minuto di silenzio in memoria della recente scomparsa di Giuseppe Ielo, arbitro Csi.

Doppio vantaggio

Non passano neanche dieci minuti che El me indiriss segna due reti. Una cannonata dalla tre quarti e un tiro sotto porta mettono pressione al Bresso e in panchina inizia a serpeggiare l’idea che la partita si può vincere. I due allenatori si sgolano. Impartiscono gli ordini, gesticolano, non stanno fermi un minuto. In campo gli scontri sono duri. Tutti i calciatori si dannano l’anima per rincorrere la palla sul terreno sintetico e tentare la zampata finale. Nonostante il vantaggio, il Panafrica tiene bene il campo. È più organizzata, gioca meglio, ha gli schemi più chiari in mente. El me indiriss fa del fisico la sua arma vincente e impegna non poco gli avversari. Corre, eccome se corre. Tutto bene fino a pochi istanti dalla fine del primo tempo quando le distanze vengono accorciate: 2-1.

Col coltello fra i denti

Le cose cambiano nel secondo tempo. Forse la stanchezza da una parte e la maggiore esperienza dall’altra fanno sì che gli equilibri si rompano quasi subito nella seconda frazione di gioco. Il pareggio arriva per un errore di valutazione del portiere de El me indiriss e il terzo gol arriva poco dopo. Gli scontri si fanno più duri. Qualcuno fa la voce grossa. L’arbitro fatica a tenere a freno gli animi. Alcune decisioni discutibili da parte della terna arbitrale non migliorano la situazione. Negli ultimissimi minuti di gioco il Panafrica perde terreno e il suo portiere compie dei veri e propri miracoli in uscita. C’è la voglia di buttare quella palla in porta e sperare di andare direttamente ai rigori. Mister Rocco non demorde e fa l’appello dei sette giocatori in campo per richiamare gli schemi. Il suo collega fa uguale per chiedere più fluidità nel gioco e cercare lo scatto sulla fascia per aprire la difesa della Jannacci. L’arbitro fischia una punizione dal limite per i ragazzi di Gottardi. L’arbitro è già con il fischietto in bocca. Ultima azione. La palla si infrange contro la barriera, scivola di lato, rimpalla confusamente tra i piedi di attaccanti e difensori. Situazione confusa. Tiro sbilenco e il pallone termina a lato. Triplice fischio. Panafrica campione.

Il terzo tempo

Ma la delusione è passeggera. È vero che sul momento il boccone è stato amaro da buttar giù, ma c’è la consapevolezza di una bella gara, combattuta fino all’ultimo. Non era una cosa così scontata all’inizio. El me indiriss ha dato tutto e ha dato e alla fine non ha ricevuto solo una pacca sulla spalla. No, ha dato lustro alla famosa battuta dell’ideatore dei Giochi olimpici moderni, il barone Pierre De Coubertin che, nonostante il pigro e deleterio colpo d’accetta che ci ha tramandato solo “l’importante è partecipare”, ha sempre, invece, messo al primo posto l’impegno durante la gara. Non è solo questione di partecipazione, ma di sudore e fatica e di dimostrare a se stessi, prima ancora dell’avversario, quanto si vale sul campo. Ecco spiegati i sorrisi di tutti i giocati di ambedue le formazioni quando hanno alzato le loro coppe. Una per i vincitori e una per gli sconfitti. Sì perché ci sono vincitori e sconfitti sul campo, ma è valsa la pena dare fondo a tutto per determinare il verdetto finale. La serata si è poi conclusa con il terzo tempo. Un momento di convivialità e un breve incontro sull’importanza dell’integrazione attraverso lo sport. Parafrasando De Coubertin. Ci vuole impegno non solo durante una gara, ma soprattutto dopo, quell’impegno sociale per costruire una società di certo migliore.