![The Price of Vanity The Price of Vanity](https://witnessjournal.com/wp-content/uploads/2021/10/the-price-of-vanity-678x381.jpg)
di Sofia Panseri
A Natale una vecchia conoscenza mi ha consigliato di leggere Stagioni diverse. Non avevo mai letto nulla di Stephen King perché – e mi vergogno un po’ ad ammetterlo – sono sempre stata turbata dall’estetica delle sue copertine. Che questo mio giudicare un libro dalla copertina si tratti di peccato veniale o mortale, consentitemi di introdurvi al secondo racconto della raccolta, Un ragazzo sveglio.
Nel 1974 un tredicenne americano, Tod Bowden, suona alla porta del vecchio immigrato tedesco Arthur Denkel accusandolo di essere il famigerato criminale nazista Kurt Dussander. Il giovane vuole sapere. Vuole sapere tutto dell’olocausto, degli ebrei, degli orrori dei campi di concentramento… soprattutto degli orrori. E così il passato torna a galla e con esso la violenza che agguanterà questa improbabile pseudo coppia nonno-nipote e allaccerà i loro destini con alamari di reciproci ricatti.
Facciamo un giro largo e speriamo ne valga la pena.
Paolo Marchetti nasce a Roma nel 1974 – lo stesso anno in cui il nostro finzionale Tod preme il suo dito letterario sul campanello del signor Dussander- e, fin da bambino, si avvicina alla fotografia.
Diventa operatore cinematografico e ha la possibilità di prendere parte a produzioni italiane e americane importanti. Sono gli anni della formazione, anni che influenzano profondamente il suo modo di scattare. Poi la svolta, è il 2006 e Marchetti decide di coltivare quell’inclinazione interiore che lo spinge verso la fotografia documentaria. Scelta personalissima, dettata dall’esigenza di indagare l’uomo nel contesto più ampio delle forze socioeconomiche che lo plasmano. Prendono vita uno dopo l’altro reportage importanti, in cui la vera sfida non è (o non è solo) il fotografare, ma il narrare, il saper addensare il fotografato attorno ad un concept: le prigioni minorili nel Sud America, la tossicodipendenza, la rabbia.
Tra i primi progetti, Fever – un salto mortale carpiato, a detta del suo autore – un’indagine quinquennale condotta in diversi paesi europei che testimonia il risveglio del fascismo nel vecchio continente. Sono passati più di ottant’anni dall’inizio della seconda guerra mondiale, più di quaranta da quel 1974, più di una decina dal 2009, anno d’inizio del progetto, e ancora quei simboli esercitano sulla nostra società sentimenti altalenanti di sinistra fascinazione e di genuina repulsa.
L’inquietudine che si avverte scorrendo le fotografie è forse figlia di quel primo sbigottimento che dentro di noi grida – così come ci ammonisce il racconto di King- che certi simboli, certe “storie brutte” del nostro passato non rinascono mai impunemente.
E se l’atto di rievocare non è neutro, neanche quello del fotografare lo è.
Marchetti ci parla del tentativo e della difficoltà di istaurare un ponte emotivo con un “altro” lontano ideologicamente, della responsabilità morale di “conquistarsi il campo persona per persona”. Ci racconta di come il suo lavoro sia stato accusato di ammiccare all’estremismo, quando invece, come sottolinea Caroline Hunter, è così evidente la meta-rabbia, quella dell’autore, che si incanala nelle scelte stilistiche tramite cui gli eventi sono rappresentati.
Salutiamo questo progetto con qualche considerazione sull’ultima fotografia, la quarantacinquesima, quella che chiude la serie. – Solo quarantacinque? – commenterebbe il selfista incallito, eppure la sfida è quella di dragare l’ambiguità interpretativa di ogni singolo scatto. Proviamoci.
Nel registro inferiore dell’immagine, una neonata dorme serena adagiata in un “ovetto”, inconsapevole di trovarsi nel fuoco prospettico di uno spazio ammantato di vecchi stemmi e volti. La fotografia mostra un destino segnato o la resilienza della tenerezza nei confronti di qualsiasi rabbia? Questa bimba sarà fiera erede del suo contesto o forza rivoluzionaria e contestatrice? Sono passati quattordici anni, e, da giovane donna, dice Marchetti, sarà chiamata a compiere una scelta, a confrontarsi con gli assunti culturali dell’ambiente in cui è cresciuta. E come lei, anche noi, tramite Fever, possiamo compiere un piccolo viaggio ermeneutico di messa in discussione dei nostri valori e dei nostri pregiudizi.
![Ponti emotivi](https://witnessjournal.com/wp-content/uploads/2022/04/ponti-emotivi-532x800.jpeg)
Ma se con Fever non vi riesce, date un’occhiata a The price of vanity, un progetto dalle implicazioni troppo ampie per non esserne toccati. Il lavoro desidera sondare il prezzo della vanità nella società contemporanea. Se ormai in tanti conoscono la cruda realtà degli allevamenti intensivi, pochi conoscono il business di pellami pregiati, alimentato dal settore dell’alta moda, in tutto il mondo.
Scattando in allevamenti di eccellenza, rigorosamente a norma di legge, Marchetti ci racconta il sacrificio nascosto aldilà della retorica ammaliante, carica di promesse ataviche, di unicità e prestigio delle industrie del lusso. Scorrete le fotografie, è l’unica cosa da fare, e forse noterete come la vitalità di coccodrilli, struzzi, ermellini compia uno strano pellegrinaggio lasciando i corpi di queste bestiole per riemergere imbruttita nello sguardo soddisfatto dell’acquirente vanitoso. C’è qualcosa di eticamente discutibile in queste uccisioni? Se si, cosa? L’uccisione in sé? La superficialità del proposito? O la strumentalità di cui investiamo il vivente?
La speranza è che possiate dare un’occhiata a questi progetti, che questi lavori generino in voi nuovi interrogativi, che aprano una finestra su realtà che non avevate ancora sondato.
Nessuna miccia empatica? Non siete né arrabbiati né vanitosi? Creature rarissime, non possiamo che invitarvi a un incontro con l’autore il 27 aprile sulla pagina facebook di Wj. A prestissimo!
Ps. Qui si può rivedere la prima serata