Vita e Morte | Rapsodia Messicana

WJ #110

Perché mai sarei lontano da voi? / Forse perché non mi vedete più? / No, non sono lontano. / Sono soltanto dall’altro lato della strada.

(Paul Claudel)

Pregare sembra essere l’ultimo dei pensieri in Messico, dove il lutto viene esibito con suoni, costumi, musiche, danze, colori ma anche con maschere e presenze inquietanti quasi a rendere familiare e amica la paura e l’inquietudine. Il Giorno dei Morti i cimiteri sono un’esplosione di vita; sacro e profano, così come vita e morte, si toccano fino a coincidere. Dal 2008 questo rituale, che informa di sé l’identità culturale messicana sia nel Paese che altrove, è Patrimonio culturale dell’umanità. Nelle civiltà precolombiane l’idea della morte era collegata al concetto di rinascita, un alternarsi che garantiva l’ordine cosmico e quindi un passaggio fondamentale e necessario. Gli spagnoli e la Chiesa risolsero la questione relegandola nella categoria “riti pagani”. Da nascondere, o peggio. Di sicuro, se hanno fallito nel loro tentativo di sradicarla, gli europei sono riusciti a farla slittare dal periodo estivo (quando si celebrava in età precolombiana) alla fine di ottobre, momento più consono per i canoni della Chiesa cattolica.

Ma la tradizione è più forte di tutto e vuole che, nel Dìa de los muertos – in realtà, gli eventi vanno dal 31 ottobre ai primissimi giorni di novembre -, i defunti tornino dall’oltretomba per riabbracciare amici e parenti. Perché, quindi, farsi trovare tristi?
I cimiteri diventano luoghi di ritrovo, di incontro, addobbati, pieni di cibo e bevande, così che il caro estinto che torna possa ristorarsi e sentirsi a casa. C’è chi accende candele (un punto di luce c’è ovunque), chi trascorre l’intera notte sulle tombe, mangiando, parlando, suonando, travestendosi, sfilando in processioni con maschere carnevalesche. Le celebrazioni seguono una struttura molto precisa. Ad esempio, i morti vengono ricordati in base a un certo ordine e a ogni giornata di festa corrisponde il ricordo dei deceduti in base al modo in cui sono scomparsi. Il primo novembre è il turno dei bambini, i cosiddetti “giovani angeli”, mentre il giorno seguente si dedicano le commemorazioni ai propri parenti, chiamandoli a sé come a farli tornare nel mondo dei viventi.

Esorcizzare la morte con l’allegria e la gioia è una costante nelle culture precolombiane, ma non solo. In fondo, si dice proprio così: morire dal ridere. Non è sintomo di leggerezza, ma la prova che l’uomo ride per allontanare la morte.
La morte, non i morti. Che sono più vicini che mai.

Il reportage

Scheda autore

Giuseppe Cardoni

Vita e Morte | Rapsodia Messicana

Giuseppe Cardoni vive in Umbria, ingegnere. In fotografia preferisce il reportage in bianco e nero. È stato coautore, con il giornalista RAI Luca Cardinalini, del libro fotografico “STTL. La terra ti sia lieve” (Ed. DeriveApprodi, 2006). Con Luigi Loretoni ha pubblicato i libri fotografici “Miserere” (Ed. L’ArteGrafica, 2008), “Gubbio, I Ceri” (Ed. L’Arte Grafica, 2011) e “Kovilj” (Ed. L’ArteGrafica, 2014). È coautore del libro “I colori del Jazz” (Federico Motta Editore, 2010). Nel 2014 ha pubblicato “Boxing Notes” (Edizionibam). Inoltre, nel 2019, ha pubblicato il libro fotografico “Jazz Notes”.


Giuseppe Cardoni is engineer based in Umbria, Italy. He is passionate for black and white reportage. He was co-author, with RAI journalist Luca Cardinalini, of the photographic book “STTL. La terra ti sia lieve” (Ed. DeriveApprodi, 2006). With Luigi Loretoni, he published the photographic books “Miserere” (Ed. L’ArteGrafica, 2008), “Gubbio, I Ceri” (Ed. L’ArteGrafica, 2011), and “Kovilj” (Ed. L’ArteGrafica, 2014). He is co-author of the book “I colori del Jazz” (Federico Motta Editore, 2010). In 2014, he published “Boxing Notes” (Edizionibam). Moreover, in 2019, he published the photographic book “Jazz Notes”.

Fotocamera: Leica M7
Obiettivo: Summilux 35 f1.4 ASPH e Elmarit 21 f2.8

English version

Life and Death | Mexican Rapsody

Pictures by Giuseppe Cardoni.

Text by Luca Cardinalini and Stefano Pontiggia

Why would I be far away from you? / Maybe because you don’t see me anymore? / No, I’m not far away. / I’m just across the street.

(Paul Claudel)

Praying seems to be the last of people’s concerns in Mexico, where mourning is performed with sounds, costumes, music, dances, and colors but also with masks and disturbing presences that make fear and anxiety familiar and friendly. On the Day of the Dead, the cemeteries are an explosion of life; the sacred and the profane, as well as life and death, approach each other until they coincide. In pre-Columbian civilizations, the idea of death was linked to the concept of rebirth, an alternation that guaranteed the cosmic order and therefore a fundamental and necessary passage. The Spanish and the Catholic Church tackled this phenomenon by relegating it to the category of “pagan rites”, something to hide or destroy.

Nevertheless, the tradition proved to be stronger than anything. According to it, during the Día de los muertos – in fact, the events take place from October 31 through November 2 – the dead return from beyond. Why, then, should the living be sad?

Cemeteries become meeting points; they are decked out, filled with food and drink, so that the dear departed who return can refresh themselves and feel at home. As some light candles (there is a point of light everywhere), others spend the whole night on the graves eating, talking, playing, dressing up, and parading with carnival masks. Exorcising death with joy is a constant in pre-Columbian cultures, but not only there. After all, that’s what they say: to die of laughter. It is not a symptom of frivolity, but the proof that men and women laugh to ward off death.

Death, and not the dead. For they are closer than ever.