Unrooted
WJ #102Tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi. Karen Blixen
L’Italia è il primo Paese in Europa e il secondo nel mondo dopo gli Stati Uniti per numero di bambini adottati. Dopo aver raggiunto nel 2010 il picco massimo di adozioni internazionali (per un totale di 4.130 bambini), è stato registrato un vistoso calo che nel 2017 ha portato in Italia solo 1.439 minori. Le cause di questo periodo difficile che l’istituto dell’adozione internazionale sta attraversando sono diverse e articolate: si va dalla mancanza di un supporto sia economico che psicosociale per le famiglie alla sempre maggiore complessità dei problemi psicofisici, per traumi o malattie, di una ampia parte dei bambini adottabili (i cosiddetti bambini “special needs”). A questo si aggiungono i tempi lunghi e gli alti costi della pratica di adozione e la debole collaborazione con i Paesi di origine dei bambini, così come il velo d’ombra che in alcuni casi è calato sulla trasparenza e sulla correttezza delle pratiche.
Oggi la Bielorussia è l’ottavo Paese per numero di minori adottati da famiglie italiane (circa il 5% del totale). Un recente protocollo d’intesa con il governo italiano ha definito e semplificato un iter annuale per la presentazione delle liste, con tempi certi per ogni passaggio e totale trasparenza degli enti coinvolti. Tra questi l’Associazione GABB (Gruppo Accoglienza Bambini Bielorussi) permette a tante persone che desiderano intraprendere il percorso d’adozione di partire per la Bielorussia e seguire il viaggio di questi bambini attraverso una realtà a loro sconosciuta. E’ da qui che nasce Unrooted, il progetto di Karymava Hulnaza basato sull’interessante concetto di “sradicamento”.
“Il progetto narra la storia di alcuni bambini Bielorussi che abbandonano le loro origini e le loro radici per essere adottati da famiglie italiane. Entrano così a contatto con una cultura differente dalla loro, con la quale devono imparare a confrontarsi e, con il tempo, a convivere. Nascere in una nazione significa inconsciamente legarsi alle abitudini, agli odori, alle atmosfere e portarsele dietro per tutta la vita; significa, nella lontananza, sentire la mancanza della propria terra per quanto bella o brutta essa sia.
Ogni bambino adottato si sente costantemente a metà tra ciò che aveva sin dalla sua nascita e ciò che invece trova nel momento in cui si trasferisce in un altro Paese. Sente il dolore dell’essere sempre in bilico tra il qui e il là”. La voglia di fare del bene è il punto di partenza per tante aspiranti coppie adottive, ma certamente è molto meno di quanto sia realmente necessario. Chi adotta deve imparare a conoscere la storia di questi bambini, dei luoghi in cui hanno vissuto e delle loro tradizioni. Iniziare una relazione profonda con loro chiede quindi di entrare in empatia con il groviglio emozionale che li abita, cercando di comprendere la loro voglia di recuperare un’identità.
“L’adozione rappresenta il momento in cui per la prima volta i bambini ritrovano il piacere di poter ritornare a vivere a pieno la loro infanzia, pur continuando a sentire un costante confitto interiore. È facile dunque che un genitore adottivo possa fraintendere alcuni atteggiamenti tanto da considerarli insoliti o prenderli come problematiche innate. Essere un genitore adottivo significa pertanto mettersi realmente in gioco in queste situazioni, cercando di comprendere quali possano essere le cause di un determinato problema. Si hanno molte più responsabilità rispetto a quelle di un normale genitore biologico poiché si deve evitare di riaprire ferite ancora non completamente guarite nell’anima di questi bambini senza crearne ulteriori”.
Una madre è come una sorgente di montagna che nutre l’albero alle sue radici, ma una donna che diventa madre del bimbo partorito da un’altra donna è come l’acqua che evapora fino a diventare nuvola e viaggia per lunghe distanze per nutrire un albero solo nel deserto. Talmud