Unbroken – Vite al galoppo
WJ #91L’ippica in Italia ha un lungo elenco di luoghi simbolo come l’Ippodromo del Mediterraneo. Tuttavia, tagli drammatici ai finanziamenti pubblici stanno mettendo in ginocchio non solo una disciplina storica nel panorama sportivo del nostro paese, ma anche l’economia che vi gravita intorno
Negli ultimi anni il settore dell’ippica è stato colpito da una profonda crisi attribuibile sia a una gestione politica poco attenta ai problemi del settore, sia alla crisi economica che attraversa il Paese. Ho deciso di raccontare l’ippica che resiste a questa crisi e che, nonostante i tagli subiti nel corso degli anni, riesce ancora ad attirare molti appassionati dando lavoro ad allevatori, proprietari, artieri, fantini, allenatori, commissari e dirigenti.
Negli ultimi anni, dagli oltre 200 milioni di euro di montepremi del 2011 il settore ha visto diminuire gli investimenti fino a un montepremi di 75 milioni di euro per il 2014, da dividere tra trotto e galoppo. Sono molte tuttavia le realtà che hanno sviluppato progetti in grado di favorire investimenti da parte di privati e dare così una boccata di ossigeno al settore; tra questi l’Ippodromo del Mediterraneo, teatro di questa documentazione. L’interesse verso questo mondo mi ha portato ad approfondire molti dei suoi aspetti e a conoscere una realtà fatta di sudore e sacrifici, impegno e dedizione, sveglie all’alba e rientri a tarda sera, cercando di coglierne i diversi momenti che lo caratterizzano.
Tanti gli appassionati, scommettitori e addetti ai lavori che si ritrovano a ogni convegno all’Ippodromo del Mediterraneo per vivere fino in fondo il fascino di questo mondo capace di popolare l’immaginario e i ricordi di intere generazioni e di alimentare speranze e sogni di proprietari e scommettitori. Questa realtà ippica oggi continua a vivere solamente perché l’amore per il cavallo va oltre ogni ostacolo, perché solo se mangi pane e ippica puoi comprendere fino in fondo questo mondo.
L’ultima corsa dell’ippica italiana
di Luca Fraioli e Rodolfo Galdi
Il settore ha prodotto per anni cavalli straordinari, facendo dell’allevamento dei purosangue una vera e propria industria di successo. Ora, dopo tagli ai fondi, incremento delle scommesse elettroniche, errori della politica e autogol di una categoria perennemente litigiosa, tutto il comparto versa in una crisi nerissima. Negli ultimi quattro anni ha chiuso il 35 per cento delle scuderie e sono andati in fumo duemila posti di lavoro. Fino al paradosso di interi centri prestigiosi svenduti su internet
Sprechi, burocrazia, corruzione, cattiva politica, soldi pubblici usati per affari privati: non si uccidono così anche i cavalli? Ebbene sì. Anche questi animali stanno pagando un caro prezzo alla crisi (non solo economica) che attraversa il Paese. L’Italia era una terra di allevatori che sfornavano campioni da esibire sulle piste e sui campi ostacoli di tutto il mondo. Ora nascono così pochi puledri da mettere in forse anche le gare dei pochi ippodromi rimasti. E insieme ai purosangue e ai trottatori scompaiono i posti di lavoro: c’è chi calcola che dal 2010 a oggi il 35% degli allevamenti abbia chiuso le sue scuderie, mandando a casa almeno 2000 addetti. Come è potuto succedere, nell’Italia che vantava una grande tradizione equestre e mentre altre nazioni vicine trasformavano l’ippica in un business ancora più redditizio che in passato? Da noi, si sa, individuare i responsabili è un’impresa spesso impossibile. Più sfiancante di un derby di galoppo, più insidiosa di un gran premio a Piazza di Siena. Specie quando, come in questo caso, le colpe sono distribuite tra molti soggetti diversi e nell’arco di un periodo che copre un quindicennio: ministri che hanno elargito prebende, altri che hanno tagliato con l’accetta, ma anche un mondo equestre che ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità quando la politica ha finanziato a pioggia, per poi accorgersi (ma troppo tardi) che avrebbe dovuto camminare con le proprie gambe invece di confidare sempre nella stampella milionaria dello Stato. Ma se stilare un elenco di colpevoli con nomi e cognomi è complicato, e forse perfino inutile, analizzare le ragioni del declino di un settore una volta prospero può essere d’aiuto.
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