Una storia sbagliata
WJ #141La striscia di Gaza è un territorio limitato da Israele ed Egitto, che per 365 chilometri quadrati e con una popolazione di poco più di 2 milioni di abitanti e un’altissima densità abitativa (5.749 persone per km2) lambisce il Mar Mediterraneo. Nonostante gli oltre 3.500 anni di storia, la definizione della Striscia è relativamente recente e risale al 1948.
Gaza ad oggi è una delle due aree che compongono lo Stato di Palestina e versa in condizioni economico-sociali molto difficili; sottoposta da molti anni a un blocco navale e terrestre, è il nervo scoperto del conflitto israelo-palestinese. Sul piano politico è governata da Hamas, il partito armato islamista palestinese, in guerra continua con Israele, attualmente sotto la guida del primo ministro Benjamin Netanyahu, uomo della destra nazionalista ed ex militare.
Dalle origini al 1948
Anticamente dominata da Alessandro Magno e dai Romani, poi dall’impero Ottomano, la Palestina fu abitata principalmente da popolazioni di origine araba, con una minoranza di alcune comunità ebraiche, fino alla prima Aliyah, “salita”, verso la Terra d’Israele. Fra il 1881 e il 1903 circa 35.000 ebrei fecero ritorno in Palestina prevalentemente dalle zone dell’Europa Orientale e dallo Yemen; altri 40.000 ebrei li raggiunsero dall’Impero Russo fra il 1904 e il 1903 durante la seconda Aliyah.
Alla caduta dell’impero Ottomano, nel 1918 il governo della Palestina passò sotto il comando dell’Impero Britannico per volere della Società delle Nazioni, precorritrice delle attuali Nazioni Unite. Aumentarono anche i dissapori fra la neo popolazione ebraica, ormai numerosa e mediamente più abbiente, e i Palestinesi, che vendettero grandi porzioni di terra. L’Impero Britannico si era detto favorevole alla formazione di uno stato ebraico in Palestina con la dichiarazione di Balfour del 1917, alla condizione che venissero sempre rispettati i diritti religiosi e civili delle comunità non ebraiche. Negli anni trenta del ‘900 le tensioni continuarono a crescere fino alla repressione violenta della rivolta palestinese del ’36 da parte dell’Impero Britannico.
Con l’avvento della seconda Guerra Mondiale, la persecuzione nei confronti del popolo ebraico raggiunse l’apice con l’olocausto e lo sterminio di circa sei milioni di ebrei in tutt’Europa. Cominciò allora a formarsi nella coscienza degli stati la necessità di una nazione ebraica. Il 29 novembre del 1947 venne approvato a larga maggioranza il piano adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (risoluzione 181) che prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati: un ebraico per il 56% del territorio, e l’altro arabo per la rimanente parte. Gerusalemme sarebbe rimasta neutrale sotto la diretta amministrazione dell’ONU.
Il 1948 e la nascita dello stato di Israele
Il 14 maggio del 1948 l’allora Presidente dell’Organizzazione sionista mondiale Davide Ben Gurion, accettò la risoluzione proposta dalle Nazioni Unite. Nacque così lo stato di Israele, riconosciuto dalle principali potenze mondiali fra cui Stati Uniti e Unione Sovietica, ma rifiutato dai Palestinesi e dagli stati a loro solidali.
L’Egitto, l’Iraq, la Transgiordania (l’attuale Giordania) e la Siria attaccarono immeditatamente il neonato stato di Israele, aspettandosi una facile vittoria. Vennero tuttavia pesantemente sconfitti dallo scarno esercito ebraico, composto principalmente da milizie nazionaliste, che si rivelò molto preparato e conquistò il 72% del territorio, contro il 56 previsto dalla risoluzione 181.
Più di 700.000 arabi palestinesi dovettero abbandonare le loro case alla volta dei campi profughi. Questo evento è conosciuto nel mondo arabo con il nome di nakba, “la catastrofe”, e viene rivendicato ogni anno con proteste e manifestazioni. Il diniego del diritto al ritorno della popolazione palestinese dai campi profughi è tuttora fonte di discussione e uno degli aspetti più complessi del conflitto israelo-palestinese. Anche centinaia di migliaia di ebrei residenti in paesi arabi ostili allo stato di Israele subirono persecuzioni e furono costretti ad emigrare, in larga parte proprio verso Israele.

1956-1978 dalla crisi di Suez agli accordi di Camp David
Nel 1956, dopo la nazionalizzazione del canale di Suez da parte del presidente egiziano Gamal Abder Nasser, lo stato di Israele attaccò l’Egitto, appoggiato da Francia e Regno Unito. Su pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, l’offensiva venne ritirata dalla penisola del Sinai.
Le tensioni, costanti e continue, esplosero nuovamente nella primavera del 1967 con la guerra dei Sei giorni. Mentre l’Egitto, la Siria e la Giordania si preparavano ad un nuovo attacco, Israele li anticipò con una controffensiva devastante. Ancora una volta l’esercito israeliano dimostrò di possedere doti strategiche e militari superiori e, nonostante l’inferiorità numerica, conquistò ingenti porzioni di territorio come la penisola del Sinai, la Cisgiordania, Gerusalemme est, la Striscia di Gaza e le alture del Golan, al confine con la Siria.
Egitto e Siria cercarono di riprendersi la rivincita nel 1973, attaccando nuovamente Israele. L’offensiva fu sferrata il 6 ottobre durante le celebrazioni dello Yom Kippur e inizialmente la coalizione araba ebbe la meglio grazie all’effetto sorpresa. Alcune interpretazioni sostengono che l’intelligence israeliana fosse al corrente dell’azione militare, ma che Israele abbia deciso di non agire preventivamente per non perdere il sostegno degli alleati internazionali. In ogni caso l’esercito israeliano si riorganizzò rapidamente e in breve tempo riconquistò le alture del Golan per poi entrare in territorio egiziano attraversando il canale di Suez. Furono le Nazioni Unite ad ordinare la cessazione del conflitto. Israele si ritirò nei proprio confini.
Nel settembre del 1978 a Camp David, negli Stati Uniti, il presidente egiziano Anwar Sadat e il primo ministro israeliano Menachem Begin firmarono un accordo storico grazie al quale Israele si ritirò dalla penisola del Sinai, mentre l’Egitto riconobbe per la prima volta l’esistenza dello stato di Israele. Si parlò anche di pace e di autonomia di governo per i palestinesi.
1987-1996 la prima Intifada e gli accordi di Oslo
Nel 1987, dopo vent’anni di occupazione ci fu una sollevazione popolare palestinese che prese il nome di prima Intifada (in arabo “scuotimento”). Per sei anni si susseguirono proteste di massa, scioperi, boicottaggi e azioni violente, che furono duramente represse dall’esercito israeliano e portarono alla morte di 160 ebrei e oltre 2000 palestinesi.
Il 13 settembre del 1993 il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, il leader dell’OLP, firmarono gli accordi di Oslo, aprendo una prospettiva per una possibile fine del conflitto. Israele riconobbe all’OLP il diritto all’autonomia di governo, mentre l’OLP riconobbe l’esistenza dello stato di Israele, impegnandosi ad abbandonare la lotta armata. Furono trascurati il destino dei coloni ebraici insediatisi nel territorio a prevalenza araba della Cisgiordania e quello dello status giuridico di Gerusalemme, la città capitale storicamente contesa e ambita da entrambi gli stati.
Nel 1994 Rabin, Arafat e Shimon Peres, il ministro degli Esteri israeliano, furono insigniti del premio Nobel per la pace. Il 4 novembre del 1995 Rabin fu però ucciso da un estremista ebreo durante una manifestazione a sostegno degli accordi di Oslo a Tel Aviv. A seguito della confusione politica generata dalla morte di Rabin, la destra nazionalista e religiosa tornò al potere capitanata dal suo principale partito, il Likud, e dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

2000-2009 dalla seconda Intifada alla presa di potere di Hamas
Il clima di sfiducia negli accordi di Oslo e lo scetticismo in un processo di pacificazione ebbero purtroppo la meglio, unitamente a una progressiva radicalizzazione e alla presa di potere di partiti e gruppi estremisti. É in quest’atmosfera che la visita alla Spianata dell Moschee di Gerusalemme da parte del primo ministro israeliano Ariel Sharon fu letta dai Palestinesi come una provocazione nei loro confronti, scatenando un’ondata di proteste che diede inizio nel 2000 alla seconda Intifada. Molti furono gli scontri e i gruppi estremisti palestinesi organizzarono attentati suicidi. Israele represse duramente l’insurrezione, che durò fino al 2005 mietendo migliaia di vittime.
Nel 2005 Israele decise di ritirarsi unilateralmente dalla Striscia di Gaza. L’esodo ebbe fine il 12 settembre, anche se alcuni abitanti ebrei si opposero alla partenza. Alla base della decisione c’era il costo per lo stato delle poche (21) colonie presenti nella striscia, che contavano circa 8.500 abitanti, una percentuale esigua rispetto ai 7 milioni circa di cittadini dello stato di Israele.
Il 25 gennaio 2006 le elezioni in Palestina portarono al potere il gruppo radicale di Hamas, che vinse a sorpresa su Fatah, un partito relativamente moderato sotto la guida di Mahmoud Abbas. I due partiti si fronteggiarono in un conflitto armato finendo per spartirsi la Striscia di Gaza (Hamas) e la Cisgiordania (Fatah).
Di fronte alla presa di potere di Hamas, nel 2007 Israele ed Egitto decisero di mettere sotto embargo il territorio della Striscia. La fornitura dei beni di consumo prodotti esternamente a Gaza, come l’acqua potabile, il carburante, l’energia elettrica e le medicine, fu rigidamente limitata. L’importazione di apparecchiature elettroniche venne vietata con l’argomentazione di un possibile utilizzo di componenti per la fabbricazione di armi da parte dei gruppi estremisti, in particolare Hamas. Le conseguenze per la popolazione civile si traducono oggi in una percentuale di disoccupazione che tocca il 50% e in una totale inadeguatezza del sistema sanitario e delle infrastrutture, perla mancanza di materiali e medicine.
Fra il 2007 e il 2009 gli scontri fra Israele e Hamas si intensificarono; Israele ha dichiarato Hamas “un’entità ostile” dato che quest’ultima si è sempre opposta ai processi diplomatici di pacificazione, rifiutandosi di riconoscere la legittimità dello stato di Israele. In particolare fra il dicembre del 2008 e il gennaio del 2009, i bombardamenti si rivolsero su Gaza culminando con l’invasione via terra della Striscia da parte di Israele. Al cessate il fuoco il conto delle vittime fu di almeno 1.200 palestinesi e 13 israeliani.
2014-2021 dall’ultima invasione della Striscia agli scontri a Gerusalemme
Nell’estate del 2014, Hamas si macchiò del rapimento di tre adolescenti israeliani che risiedevano in una colonia della Cisgiordania, aggravando le continue rappresaglie e i lanci di missili ostili. Nel luglio dello stesso anno, Israele entrò nuovamente nella Striscia dichiarando di volere distruggere le basi militari e l’estesa rete di tunnel sotterranei anti-embargo che Hamas aveva costruito segretamente a partire dal 2007. In 50 giorni caddero oltre 2.200 palestinesi e 71 israeliani. Moltissime furono le vittime e i feriti fra i civili palestinesi e centinaia di edifici tra cui ospedali, case e scuole andarono distrutti. Il cessate il fuoco portò al ripristino delle condizioni precedenti, sotto la guida di Hamas, con l’obbligo di garantire maggiori concessioni alla popolazione palestinese, impegno che Israele non ha mai rispettato.
La primavera del 2018 sollevò diverse ondate di protesta nella Striscia al confine con Israele. Migliaia di persone si radunarono per protestare contro l’embargo, la disoccupazione, lo spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, ma soprattutto la negazione del diritto al ritorno alla loro terra per i Palestinesi esiliati nei campi profughi del 1948. Il movimento nacque in seno alla società civile, ma fu sostenuto da Hamas e represso con forza da Israele. I feriti furono quasi 10mila, con 86 vittime palestinesi a seguito di lanci di rocce e bombe molotov oltre il confine israeliano.
A maggio del 2021 lo sfratto di alcune famiglie dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme, e l’intervento armato della polizia israeliana nella Spianata delle Moschee, causarono l’inizio di una nuova guerra. Hamas si mosse subito vendicando l’affronto con il lancio di una decina di razzi in direzione di Gerusalemme. Israele reagì bombardando duramente la città di Gaza per 11 giorni in cui 256 palestinesi e 10 israeliani persero la vita.
Cronologia degli eventi dal 2005 (anno di nascita del collettivo ActiveStills)
2005 – Piano di disimpegno unilaterale israeliano
2006 – Operazione Piogge estive
2007 – Battaglia di Gaza del 2007
2008 gennaio – Crisi di Gaza del 2008
2008 febbraio – Operazione Inverno caldo
2008-2009 – Operazione Piombo fuso
2009-2013: Colonna di nuvola
2011 – Attacchi terroristici nel sud di Israele
2012, 14-21 novembre – Operazione Colonna di nuvola
2012, 29 novembre – Riconoscimento ONU della Palestina come Stato osservatore non membro
2014, 12 giugno – Omicidio di tre adolescenti israeliani
2014, 2 luglio – Assassinio di Mohammed Abu Khdeir
2014, 8 luglio – Operazione Margine di protezione
2023, 7 ottobre – Conflitto Gaza-Israele del 2023