Tutti in classe
WJ #125“La scuola deve tornare e con essa il battito della vita, quel dolce rumore “di gambe e di occhiali di corsa sulle scale” che ha rotto il lungo silenzio dell’attesa.”
(Antonio Curci, vincitore del Global Teacher Award 2021)
Nell’autunno 2020 la seconda ondata di Covid-19 ha colpito l’Italia e per contenerne la diffusione è stata decisa la chiusura delle scuole superiori. Così, da un giorno all’altro, migliaia di studenti e docenti si sono trovati isolati dietro uno schermo e luoghi brulicanti di vita, di risate, di lacrime, di voci sono diventati edifici vuoti, nei quali si aggirava, spaesato, un mondo di soli adulti.
Riaperture e chiusure si sono poi intervallate nel corso dei mesi, accrescendo il senso di disorientamento, insieme a percentuali di studenti ammessi a frequentare che variavano di continuo, orari d’ingresso scaglionati, sanificazioni, regole di distanziamento sociale e mascherine.
I danni provocati da questo alternarsi di presenza e distanza, dall’isolamento a cui gli adolescenti sono stati obbligati sono in parte già visibili, in parte lo saranno negli anni a venire.
Quanto qui rappresentato è il racconto di quell’anno, in due scuole di due diverse regioni del nord Italia; dal punto di vista di chi l’ ha vissuto dall’intero; di chi è andato avanti, giorno dopo giorno, vedendo gli effetti di quanto stava accadendo agli studenti; di chi si è chiesto come continuare il proprio lavoro, nell’attesa di tornare tutti in classe.
La rentrée – Istituto d’istruzione superiore “Iris Versari” di Cesano Maderno (MB)
Liquid school – Liceo scientifico “Manfredo Fanti” di Carpi (MO)
La rentrée
di Eliana Decet
Lo scorso anno numerosi sono stati i “primo giorno di scuola” e tutti vissuti come tali, con l’emozione del primo giorno. La felicità di rivedere i compagni dopo settimane o mesi di chiusura; l’ansia condivisa per un’interrogazione; il ripasso prima di una verifica; l’intervallo in “bolle-classe” per limitare i contatti e contenere i contagi; l’esultanza per un goal fatto o una schiacciata andata a segno nel tentativo di riappropriarsi di quanto andato perduto in DAD, ovvero un universo di relazioni che è parte integrante della crescita di un individuo.
Seppur tra mascherine e igienizzanti, studenti, professori e bidelli sono andati alla ricerca di una normalità che ha ridato alla scuola la sua funzione non solo di luogo del sapere, ma anche e soprattutto di spazio di socializzazione.
Liquid school
di Claudia Cavazzuti
La prima lunga chiusura è giunta dopo poche settimane di lezione ed è proseguita fino a gennaio In quel periodo i docenti si sono ritrovati catapultati in una scuola che, pur apparendo esternamente la stessa, ha subito una sostanziale trasformazione: la vecchia concezione di spazio scolastico è andata sbriciolandosi, per assumere una nuova forma dove il confine tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori si assottiglia.
In questa “scuola liquida”, in cui i rapporti umani si sono adattati integrando il fisico e il digitale, “i prof” hanno tentato di ricomporre una realtà sempre più instabile, sforzandosi di mantener i ragazzi agganciati alla vita quotidiana attraverso una didattica mediata dalla tecnologia, cercando di restituire loro un angolo di normalità dal quale poter ripartire e recuperare la rotta.