Turkana’s resilience

WJ #95

I Turkana hanno a lungo vissuto in equilibrio tra terra e acqua, ma ora entrambe sono in pericolo

Mentre si stima che le temperature medie globali siano aumentate di 0,8 °C nel secolo scorso, nella contea di Turkana, nell’estremo nord-ovest del Kenya, le temperature minime e massime dell’aria sono aumentate tra 2 e 3 °C tra il 1967 e 2012. Per intere settimane si vive a oltre 45 gradi e può non piovere anche per tre o quattro mesi: da sempre dediti all’allevamento, i Turkana sono ora messi in ginocchio dalla scomparsa dei pascoli e dalla moria di bestiame. Si lotta per le terre, per la poca erba rimasta, ma anche per qualcosa di ancora più succulento. Dopo che nel 2012 sono stati scoperti alcuni giacimenti petroliferi nella zona di Lodwar, la capitale della contea, è iniziata la corsa ai lotti di terreno. Interi ettari sono stati espropriati con la forza, sottratti al pascolo di bestiame e rivenduti.

Per una popolazione comunque in aumento (da 855.393 persone nel 2009 a 1.256.152 persone nel 2015) una tale carenza di risorse sta diventando insostenibile. Per questo i Turkana hanno dovuto cercare strade alternative: un tempo solo pochi di loro si dedicavano alla pesca (i pescatori erano considerati poveri perché persone senza bestiame) mentre ora sempre più famiglie si stanno spostando dall’interno verso le coste del lago Turkana, una striscia blu di 257 chilometri che corre dall’estremo sud dell’Etiopia fino al cuore del Kenya. Questo tipo di adattamento al cambiamento climatico è stato definito dagli esperti “adattamento spontaneo”, ossia privo di qualunque progetto da parte del governo o di organizzazioni non governative (pur presenti nella zona con programmi di sviluppo e sostegno alimentare).

Gli sviluppi idroelettrici e di irrigazione in corso sull’Omo, il fiume etiope che alimenta per il 90% il lago Turkana, stanno portando ad un crollo ecologico del lago e della pesca. La grande diga Gibe III (di realizzazione italiana) ha messo fine alle esondazioni stagionali del fiume Omo per convogliare quasi il 50% dell’acqua verso 150 mila ettari di piantagioni intensive di canna da zucchero. Ma il peggio succede a valle, dove il minor afflusso di acqua nel Turkana (aggravato dall’aumento dell’evaporazione) ha ridotto di diversi metri il livello dell’acqua. Se non verranno prese drastiche misure risolutive il lago nel prossimo futuro potrebbe ridursi a due piccoli bacini, quello settentrionale alimentato dall’Omo e quello meridionale dai più piccoli Turkwell e Kerio. E molti già parlano del Turkana come dell’Aral africano.

Il reportage

Scheda autore

Maurizio Di Pietro

Turkana’s resilience 16

Maurizio Di Pietro nasce a Torino nel 1974.

Si trasferisce pochi anni dopo con la famiglia a Latina dove oggi vive e lavora. La passione per la fotografia nasce in lui già negli anni delle scuole superiori ed è rimasta costante nel periodo universitario. Dopo il conseguimento della laurea in Scienze dell’Informazione presso l’Università la Sapienza di Roma, inizia a lavorare come volontario per diverse ONG (Amici dei Bambini, Save the Children, Amka) realizzando, inoltre, con loro dei progetti fotografici in Marocco, Sri Lanka, Guatemala, Israele e Cisgiordania.

Fotocamera: Nikon D750
Obiettivo: Nikon 28mm

English version

Turkana’s resilience

Photography by Maurizio Di Pietro

Story edited by Antonio Oleari

 

Turkana have long lived in balance between land and water, but now both are in danger

 

While it is estimated that global average temperatures have increased by 0.8 ° C in the last century, in the county of Turkana, in the extreme north-west of Kenya, the minimum and maximum temperatures of the air have increased between 2 and 3 ° C between 1967 and 2012. Always dedicated to breeding, Turkana had to look for alternative ways: more and more families are moving from the inland towards the shores of Lake Turkana, but the hydroelectric and irrigation developments along the ethiopian Omo river (that feeds lake for 90%) are leading to an ecological collapse.