Tina Modotti. Oltre i confini.
WJ #139Il 13 dicembre del 1989 viene istituito a Udine il Comitato Tina Modotti, ideato e presieduto dal fotografo Riccardo Toffoletti, protagonista della sua riscoperta assieme a Vittorio Vidali, avvenuta negli anni Settanta, con l’obbiettivo di diffondere il lavoro e il pensiero di questa donna, per troppo tempo rimasta nell’ombra della storia.
Migrante, operaia, poi attrice, fotografa e infine attivista politica, Tina è un’icona di libertà di pensiero, che ha superato molti e diversi confini. Una donna dedita completamente alla causa sociale, sempre dalla parte dei più poveri e dei più deboli. Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina, nasce a Udine il 16 agosto del 1896. Il padre Giuseppe Saltarini Modotti è un meccanico, la madre, Assunta Mondini, una cucitrice. Presto è costretta ad abbandonare gli studi per contribuire con il lavoro al sostentamento della famiglia numerosa. Inizia così a lavorare in una seteria, mentre il padre emigra negli Stati Uniti, e in seguito nel 1913, a poco più di sedici anni, lo raggiunge a San Francisco. La bellezza di Tina, la sua sensualità ed eleganza innata non passano inosservate, sono strumenti che impiega per esibirsi nel teatro degli emigrati di San Francisco, di cui diventa una stella.
Nel 1915, durante una visita all’Esposizione Internazionale Panama-Pacific, conosce il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey, dagli amici chiamato Robo, che la introduce al mondo artistico. Questo incontro la conduce verso un nuovo orizzonte di idee, sia artistiche che politiche. La sua vita ora è con lui a Los Angeles. In questi anni inizia le collaborazioni con il cinema Hollywoodiano, interpretando ruoli di donne seducenti ed esotiche, ma decide presto di allontanarsi dall’industria filmica, di cui non condivide l’immaginario e l’ambiente, troppo lontano dalla sua realtà di provenienza. Nello studio del marito Robo incontra Edward Weston, fotografo che comincia ad affermarsi sempre più in questi anni e che diventa il suo nuovo amore. L’incontro con Weston è una rivoluzione per lei, non solo sentimentale ma anche di visione del mondo. È lui ad iniziarla al linguaggio fotografico.
Dopo la morte di Robo, si trasferisce con Weston in Messico nel 1923, e qui allestiscono il loro studio. Nel clima politico e culturale post-rivoluzionario e nella luce di questa nuova terra Tina matura il suo linguaggio fotografico. Le prime immagini che realizza, agli inizi degli anni Venti, mostrano le scelte iconografiche di una fotografia diretta, che fonda la propria forza tutta sulla scelta del soggetto, sullo studio dell’inquadratura e sulla valorizzazione delle forme e dei toni chiaroscurali.
Vita e opera si fondono insieme nell’esistenza di Tina e di Edward. La loro casa è frequentata dai muralisti messicani: David Alfaro Siqueiros, Diego Rivera, José Clemente Orozco, Xavier Guerrero, di cui la Modotti diventa la fotografa ufficiale. La visione sociale e politica della loro arte si incontra con il suo pensiero. Entra in contatto anche con il gruppo estridentista, un movimento artistico e letterario dell’avanguardia messicana degli anni Venti, che esalta il progresso meccanico e lo spirito della modernità, rivolto alla dimensione sociale della rivoluzione messicana. Nel 1927 si iscrive al Partito Comunista ed incontra in Messico altre due figure importanti che segneranno la sua vita: Julio Antonio Mella, un giovane rivoluzionario cubano esule, di cui presto si innamora, e Vittorio Vidali, dirigente del Soccorso Rosso Internazionale per il Centro America e suo futuro compagno, uomo dai tanti nomi e passaporti, che si trova lì dopo essere stato espulso dagli Stati Uniti per il suo impegno nella campagna in difesa di Sacco e Vanzetti.
Da questo momento le sue fotografie con nature morte cominciano ad essere arricchite da simboli che riflettono lo scenario storico e politico del paese in cui si trova e gli ideali che sposa. Le sue immagini diventano strumenti di indagine e di denuncia sociale. Non vuole che le sue foto siano lette come espressioni artistiche ma come documenti capaci di registrare, con obbiettività, la vita in tutti i suoi aspetti. Pochi mesi dopo l’attentato al neopresidente Pascual Ortiz Rubio si scatena una repressione contro gli agitatori politici di matrice comunista in Messico, e accusata falsamente di complicità, è arrestata ed espulsa dal paese. Imbarcata come detenuta su una nave cargo, giunge a Rotterdam. Aiutata dalla sinistra olandese riesce ad ottenere un permesso per andare in Germania per poi seguire per Mosca. L’urgenza degli eventi storici le richiede un intervento diverso, che la porta a mettere da parte la fotografia. Capisce che le immagini non possono cambiare lo stato delle cose. Agire per lei diventa più importante.
La guerra civile sorprende Tina e Vidali in Spagna, impegnati nelle attività del Soccorso Rosso Internazionale. Neppure Robert Capa e Gerda Taro, che si recano lì per raccontare quanto sta accadendo, riescono a convincerla a riprendere a fotografare. È lei a coordinare il lavoro del Soccorso Rosso spagnolo, per organizzare ospedali militari e assistenza sanitaria sul fronte, soccorrere i rifugiati della popolazione e curare i bambini rimasti orfani, provvedendo alla loro accoglienza e adozione all’estero. Con il trionfo di Franco, la sede centrale del partito dà ordine di scioglimento, Tina si trasferisce al seguito degli esuli spagnoli in Francia e poi nel 1939 di nuovo in Messico con Vidali.
Il 20 agosto del 1940 viene assassinato Lev Trotsky a Città del Messico, colpito dall’agente infiltrato Ramón Mercader, morirà il giorno dopo in ospedale. Tina è sempre più debilitata nelle condizioni di salute e stanca della violenza che pare perseguitarla ancora una volta, si allontana da tutti i suoi conoscenti e amici, persino dal partito. La fotografia è ormai per lei un ricordo lontano. La notte del 5 gennaio del 1942, dopo aver passato la serata a casa dell’architetto Hannes Meyer, si sente male, chiama un taxi per farsi portare a casa ma il suo cuore non regge, muore lungo il tragitto, ancora una volta in viaggio.
Le sue fotografie, così come i suoi scritti, sono una traccia importante del Novecento che testimonia quanto vita e opera per Tina fossero, in fondo, una cosa sola.