The wind in my hair
WJ #106di Stefano Caviglia
Testo a cura di Sara Forni
“Hai mai pensato a come ti sentiresti se ti togliessero la sensazione di libertà data dal vento fra i capelli? Anche per questo, in Iran, migliaia di donne stanno lottando”
‘The wind in my hair‘ è il titolo di un libro scritto nel 2018 da Masih Alinejad, una giornalista iraniana che vive negli Stati Uniti e che nel 2014 ha promosso sui social network una campagna contro l’obbligo di portare il velo in Iran, una volta compiuti nove anni. All’inizio di questo anno Nasrin Sotoudeh, avvocatessa iraniana, è stata condannata in patria a 33 anni di reclusione e 148 frustrate per aver commesso una serie di reati contro il regime. Una delle principali attività dell’attivista era proprio quella di difendere le donne che in segno di protesta avevano deciso di togliere il velo, un Un gesto di ribellione in una nazione dove, dopo la rivoluzione islamica del 1979, per le donne vige l’obbligo di indossare l’hijab e il divieto di truccarsi. Due episodi che hanno portato il fotografo Stefano Caviglia a voler scoprire e documentare come stanno davvero le cose e così tra aprile e maggio dell’anno scorso ha trascorso un periodo in Iran, tra Teheran e Shiraz.
“Questi episodi hanno innescato in me un forte desiderio di scoprire quale fosse la situazione attuale e ho viaggiato con in mente le notizie lette e le immagini viste in alcuni film, come Taxi Teheran o Tre volti“, spiega Caviglia.
Le foto raccontano la vita quotidiana, alcuni scatti sono ‘rubati’ mentre altri in posa, proprio perché molte delle ragazze incontrate erano disponibili a collaborare con il fotografo, sperando così di poter dare visibilità alla loro battaglia. Anche gli uomini, a contrario di quanto si narri nella visione ‘stereotipata’ occidentale hanno collaborato anche perché anche per la popolazione maschile il Governo ha fissato regole sull’abbigliamento: gli uomini, ad esempio, non possono indossare in pubblico pantaloncini corti e magliette con simboli, disegni, scritte considerati “troppo occidentali”. All’inizio del viaggio Caviglia ha incontrato un ragazzo iraniano e la sua ragazza che lo hanno fermato per parlare di arte, letteratura e cinema italiano, di cui lui è molto appassionato. “Con un italiano perfetto ci ha messi in guardia -racconta il fotografo- dicendo che noi italiani non dobbiamo dimenticarci dei nostri valori e dei nostri intellettuali, perché è in questo modo che cresce l’intolleranza. Poi abbiamo parlato di politica…“.
Il reportage
Scheda autore
Stefano Caviglia
Stefano Caviglia, classe 1961, scatta fotografie da 35 anni. Ha iniziato perché “ero timido e avevo difficoltà a parlare”. Oggi è insegnate per alcuni corsi di fotografia base per associazioni di volontariato e espone le sue opere a livello locale. Tra i diversi corsi frequentati, anche quello di perfezionamento fotografico alla facoltà di Architettura di Genova.
Fotocamera: Nikon 610 e Lumix GX8
Obiettivo: Nikon 24-120 e Leica/Panasonic 12-60
English version
The wind in my hair
by Stefano Caviglia
story by Sara Forni
“Have you ever thought about how you would feel if they took away the feeling of freedom given by the wind in your hair? Also for this reason, in Iran, thousands of women are fighting”.
The wind in my hair is the title of a book written in 2018 by Masih Alinejad, an Iranian journalist who lives in the United States and who in 2014 promoted on social networks a campaign against the obligation to wear the veil in Iran, once he was nine years old. Earlier this year, Iranian lawyer Nasrin Sotoudeh was sentenced to 33 years’ imprisonment and 148 years’ frustration at home for committing a series of crimes against the regime. One of the main activities of the activist was to defend women who in protest had decided to remove the veil, a gesture of rebellion in a nation where, after the Islamic revolution of 1979, women are required to wear the hijab and the ban on makeup. Two episodes that led the photographer Stefano Caviglia to want to discover and document how things really are and so between April and May last year he spent a period in Iran, between Tehran and Shiraz.
“These episodes triggered in me a strong desire to find out what the current situation was and I traveled with in mind the news read and images seen in some films, such as Taxi Tehran or Three faces,” explains Ankle.
The photos tell the story of everyday life, some shots are ‘stolen’ while others pose, precisely because many of the girls met were willing to collaborate with the photographer, hoping to give visibility to their battle. Even men, contrary to what is said in the ‘stereotyped’ western vision, have collaborated also because the government has set rules for men’s clothing: men, for example, can not wear in public shorts and t-shirts with symbols, drawings, writings considered “too western”. At the beginning of the trip, Ankle met an Iranian boyfriend and his girlfriend who stopped him to talk about art, literature and Italian cinema, of which he is very fond. “Speaking Italian perfectly, he warned us – the photographer reports – saying that we Italians should not forget our values and our intellectuals, because this is what increases intolerance. Then we talked about politics…”.