Suburban Cairo
WJ #106Da sempre le inondazioni del Nilo portavano con loro nuove speranze di raccolto. Il dio del grande fiume che attraversa l’Egitto devastava violentemente con le sue acque le terre lungo il suo corso, poi le ritirava e lasciava una terra fertile per nuove colture. La rivoluzione del 2011 agli occhi di tanti egiziani ha portato con sé una straripante ondata di novità e di possibili futuri nuovi raccolti.
Così, però, non è stato. L’entusiasmo per la caduta del presidente Hosni Mubarak, il passaggio del potere nelle mani del Consiglio supremo delle forze armate, l’arrivo del presidente Mohamed Morsi e l’ascesa dell’attuale Capo di Stato Abdel Fattah al–Sisi ha lasciato il passo a una nuova delusione. Il raccolto, dopo l’ultima inondazione, ha lasciato l’amaro in bocca.
Marco Rubbiani ha tastato il polso della popolazione che abita a Il Cairo. La capitale del Paese, con le sue 30 milioni di anime, è tornata silente. “La vita nelle strade del Cairo appare oggi la stessa di quella osservabile prima delle rivoluzioni, la grande città sembra aver digerito le tensioni e le aspirazioni recenti per riadagiarsi nelle sue tradizioni millenarie, in un life-style che, più che caratteristico, è unico: quello di una città che non ha bisogno del futuro essendo eterna”, racconta il fotografo.
Tutto appare come prima. I bimbi palleggiano tra loro con palloni sgonfi per i vicoli. All’ombra delle piramidi e delle moschee i mercati brulicano come sempre e gli anziani siedono ai bordi delle strade contando i motorini che passano, in compagnia di qualche animale che condivide con loro la pesantezza di quei luoghi immutati. Tutto è cambiato, perché nulla cambiasse.
Il concetto gattopardiano viene perfettamente reincarnato dalla capitale, vetrina di ciò che sta accadendo nel resto del Paese. Stando a un rapporto di marzo 2019, Amnesty International critica aspramente le politiche sociali di Al-Sisi che non si discostano tanto da quelle del suo predecessore. Si è erosa ulteriormente l’indipendenza del potere giudiziario e si sono imposte soffocanti limitazioni nei confronti dei mezzi d’informazione, delle Ong, dei sindacati, dei partiti politici e dei gruppi e attivisti indipendenti. Si denunciano torture e trattenimenti da parte delle forze dell’ordine contro le decisioni di rilascio dei tribunali. Molti siti web considerati contrari al regime vengono chiusi o controllati in maniera serrata. L’acqua si è ritirata, ma cosa è rimasto? Forse lo stesso che c’era prima.