Stolen Portraits

WJ #119

Cosa c’è di più fugace dell’espressione che passa su un viso? (Henri Cartier-Bresson)

È sicuramente capitato a ognuno di noi di fermarsi in strada a osservare i gesti e le espressioni di una persona che non conosciamo, non abbiamo mai visto e non rivedremo mai più, e chiedersi che vita ci sia dietro quello sguardo e quei movimenti. Ci accade ovunque: seduti in metro, mentre prendiamo un caffè al bar o girando l’angolo di una strada di città. Il fatto che molti film e serie TV contengano scene in cui i personaggi si divertono a inventare storie su persone sconosciute fa quasi pensare che questa sia un’esperienza universale o, quantomeno, comune nel nostro mondo occidentale.

Qualcuno potrebbe dire che questa è una conseguenza di ciò che è stato definito “la fine delle grandi narrazioni”, quei grandi racconti unificanti capaci di restituire ordine agli eventi del mondo, regolarizzarne il funzionamento e dare senso alla vita. Finite quelle, restano solo l’asettico discorso scientifico e le esperienze individuali.

Eppure, possiamo vedere le cose in un altro modo. Il fatto è che noi abbiamo bisogno di storie, e ne abbiamo bisogno da un punto di vista evolutivo. Secondo alcune ricerche di psicologia evolutiva, il senso del sé emerge pienamente solo a partire dai due anni, cioè dalla comparsa del linguaggio. È solo quando impariamo ad articolare verbalmente le nostre esperienze che iniziamo a riconoscerci come persone e a vedere nell’altro un nostro simile. Esistiamo come individui solo in quanto capaci di raccontarci. Di più: ci riconosciamo ugualmente umani solo in quanto capaci di raccontare gli altri come raccontiamo noi stessi. Immaginare la vita di una persona sconosciuta ci ricorda ogni giorno di una comune umanità.

Ecco il senso di questi ritratti rubati. Sono istanti di esistenza, catturati in giro per l’Europa nell’arco di un decennio che va dal 2008 al 2018. Da Lisbona a Edimburgo, passando per Dublino, Vienna, Amsterdam, Madrid e la Soho londinese, molteplici sguardi si sono incrociati con la lente della macchina fotografica, in assenza di alcun filtro e con fervido realismo. La complessità e la fragilità dell’essenza e della natura umane sono rimaste impresse in un’immagine, e con loro la possibilità di creare un racconto su quelle vite. Tassisti, preti, cuochi, venditrici di ventagli: è una passerella di antidivi che ogni giorno fanno i conti col sapore dolceamaro dell’esistere rimanendo quasi anonimi, invisibili, comuni. Sono sguardi che chiedono di raccontare, nel silenzio di uno scatto, molteplici esperienze. Storie ed emozioni che mai conosceremo. Ma che, forse, condividiamo e magari, in qualche modo, riusciamo a immaginare.

Il reportage

Scheda autore

Michele Punturieri

Stolen Portraits 16

Nato a Reggio Calabria nel dicembre 1976. Laureato in Economia e fotografo free-lance. Ha iniziato a scattare a 20 anni. Alcune sue immagini sono apparse in webzine italiane e internazionali: Private, Monovisions, Design Radar (Interview), Dodho Magazine, Frattura Scomposta, True Eye, Twohundredby200, Blanket Magazine, Phirebrush. Focalizzato su bianco e nero, ritrattistica e street. Michele Punturieri oltre alla fotografia coltiva la passione per la letteratura (meglio se maudit), il cinema d’autore, la musica. Quando scrive raccoglie cocci che rimette insieme. Definendo i suoi contorni. E’ in uscita per Edizioni La Gru la sua prima raccolta poetica Cartoline da altri Eden.

 

Fotocamera: Olympus XZ-2 e Nikon D700
Obiettivo: Nikon 24-70 f.2.8

English version

Stolen Portraits

Photo by Michele Punturieri

Text by Michele Punturieri and Stefano Pontiggia

What could be more fleeting than the expression passing over a face? (Henri Cartier-Bresson)

It has certainly happened to everyone to stop in the street and observe the gestures and expressions of a person we do not know, have never met, and will never see again. It happens to us everywhere: sitting on the subway, while having a coffee at a bar, or turning the corner of a city street. The fact that many movies and TV series contain scenes in which characters have fun inventing stories about unknown people almost makes us think that this is a universal experience or, at least, a common occurrence in our Western world.

Some might say that this is a consequence of what has been called “the end of the great narratives”, that is, the end of those great unifying narratives capable of restoring order to the events of the world, regulating its working principles, and giving meaning to life. Once these are over, only the aseptic scientific discourse and individual experiences remain.

Yet, we can see things another way. The fact is that we need stories, and we need them from an evolutionary perspective. According to some research in evolutionary psychology, a sense of self does not fully emerge until the age of two, which is when language appears. It is only when we learn to verbally articulate our experiences that we begin to recognize ourselves as persons, and to see the other as our fellow human beings. We exist as individuals only insofar as we are able to tell our stories. More than that: we recognize ourselves as equally human only insofar as we are able to tell others as we tell ourselves. Imagining the life of an unknown person reminds us every day of a common humanity.

That’s what these stolen portraits are all about. They are instants of existence, captured over a decade from 2008 to 2018 around Europe. From Lisbon to Edinburgh, passing through Dublin, Vienna, Amsterdam, Madrid, and the London Soho, multiple gazes have encountered the lens of the camera, in the absence of any filter and with fervent realism. The complexity and fragility of human essence and nature have been impressed in an image, and with them the possibility of creating a story about those lives. Taxi drivers, priests, cooks, women selling fans: it is a parade of anti-divi who every day come to terms with the bittersweet taste of existing, remaining almost anonymous, invisible, and ordinary. These glances seem to ask for countless experiences to be told in the silence of a shot. Stories and emotions that we will never know but that, perhaps, we share with everyone else and maybe, in some way, we can imagine.