Some of these days
WJ #113“Ma dopo che furono chiuse le porte, tutti si accorsero, compreso il narratore, di essere sulla stessa barca e di doversene fare una ragione. Così, per esempio, un sentimento privato quale la separazione da una persona amata divenne improvvisamente, sin dalle prime settimane, quello di un’intera popolazione e, insieme con la paura, il principale motivo di sofferenza di quel lungo periodo di esilio.”
Albert Camus – La peste
Some of these days comincia con una gita fuori porta, il giorno prima dell’entrata in vigore delle restrizioni da “zona rossa” per il contenimento della pandemia da Covid 19, a Parma e poi in tutta Italia, ed è un modo come un altro per indagare la lunga convivenza in famiglia che ci ha accompagnati da inizio marzo fino a maggio, continuando a praticare quella cosa che chiamo “fotografia”.
Abbiamo incontrato per primo lo stupore, quello di scoprirci ancora indifesi, nonostante tutta la scienza e la tecnologia delle nostre Nazioni, e quello di trovarci improvvisamente tutto quel tempo vuoto, da riempire, giusto li davanti a noi.
E quindi anche la gioia dei momenti catartici, la danza, il chiasso a qualsiasi ora dei primi giorni; il sole in fronte, e il tempo per leggere e per svuotare una cantina che aspettava da tre anni e mezzo.
Ci ha fatto compagnia la noia, fredda come un telecomando stretto in mano.
Abbiamo riscoperto di essere capaci di leggere una favola, a noi stessi e a chi ci sta vicino, prima di addormentarci, e di svegliarci sperando in un giorno meno pesante del precedente.
Abbiamo visto il buio, e incontrato la paura, spesso, non ammettendocelo.
Abbiamo sentito il suono delle ambulanze giorno e notte, lungo la provinciale che ci lambisce casa, e quello delle campane a morto, dalla chiesa antica che alloggia dietro di noi.
Abbiamo capito chiaramente (ne avevamo bisogno?) che cosa conta veramente, nello stare al mondo (si, ne avevamo bisogno, decisamente).
Abbiamo urlato forte, spesso, e fatto crisi, e sbattuto porte.
Poi abbiamo messo da parte tutti gli scatti che parlavano di altro che non fosse tranquillità, o introspezione, oppure entrambe le cose.
Per rispetto verso noi stessi, e soprattutto verso tutti quelli che se ne sono andati, improvvisamente, troppo presto e senza la possibilità di un ultimo saluto.
Molte volte ci siamo chiesti cosa avremmo fatto se e quando la situazione sarebbe migliorata.
Se, e quando.
Io, poi, non appena è stato possibile, sono tornato dal mio meccanico di quartiere, e ho preso una bicicletta, che qui in Emilia, non avere una bicicletta sotto al sedere, è come se non si fosse nemmeno venuti al mondo.