Siena, il Palio
WJ #103Il 2 luglio per la Madonna di Provenzano e il 16 agosto per l’Assunta, a Siena si svolge un evento che coinvolge non solo un’intera città, ma il cuore di tutti. E’ la giostra equestre più celebre al mondo: il Palio di Siena. Vi prendono parte dieci delle diciassette “Contrade”, che compongono la geografia umana e sociale dei quartieri senesi, cinti da mura medievali. Sullo scacchiere si dispongono, a rotazione annuale, le sette contrade escluse dalla precedente edizione, più tre a sorteggio fra le rimanenti.
Mimetico fra le schiere dei fotografi, la calca dei tifosi e gli applausi dei turisti, per anni uno dei più grandi fotoreporter dei nostri tempi, Francesco Cito, ha documentato la magia del Palio. Francesco è stato di recente ospite dell’edizione 2019 di Closer, dentro il reportage, il festival che WJ dedica alla fotografia di reportage negli spazi di QR Photogallery a Bologna, in collaborazione con Arci e Terzo Tropico. Suoi sono anche gli scatti in esposizione ad ingresso libero fino al 19 marzo presso Senape Vivaio Urbano, che ci raccontano del suo percorso fotografico in un Afghanistan ridefinito ai tempi del conflitto afghano-sovietico.
Con il lavoro sul Palio di Siena, Francesco si aggiudica nel 1996 il primo premio per il reportage al World Press Photo. “Si tratta in fondo pur sempre di una guerra” dice scherzando durante la serata del suo incontro a Bologna “ed è tuttavia anche il suo esatto contrario. Il Palio incarna infatti il sentimento che anima il conflitto, che è il lato in un certo senso di sfogo più istintivo della natura umana. Si tratta però di una guerra sotto controllo, con dei limiti e delle regole precisi. Quindi di fatto non è la guerra; è la sua messa in scena…esattamente come succede per una bella fotografia.”
In un’intervista per la Nazione sul Palio aveva dichiarato: “Io sono stato ovunque, in pace e in guerra. Sugli altipiani dell’Afghanistan e nella Striscia di Gaza. Sotto le bombe coi combattenti. E tra i proiettili delle faide di mafia. Ovunque, con la mia macchina fotografica. Orrore, meraviglia, amore. Ma quello che si trova qui altrove non c’è. Non il cavallo, non il fantino. È il popolo che mi interessa».
E ancora: “La bellezza è nel Palio; lo spirito di corpo, di armonia, di fede che nutre il popolo della contrada. Restai affascinato, travolto, quando respirai quella fede, quando la fotografai. In tutto ciò il cavallo è solo un tramite, quasi la scusa affinché lo spirito resti forte, indissolubile”.
Ed è in fondo un semplice fazzoletto a legare indissolubilmente il lavoro sul Palio a quello sull’Afghanistan e Francesco alla Contrada del Nicchio dal 1980 sino ad oggi. Fu infatti il dono di questa storica contrada al suo fotografo “Quello che mi salvò la pelle in Afghanistan, anni ’80. Finii nelle mani dei mujahidin, pensavano fossi una spia sovietica, volevano ammazzarmi. Poi videro il fazzoletto del Nicchio, non me ne separavo mai. E io dissi: è la bandiera del mio Paese. Allora loro sorrisero, iniziarono a baciarla. Non ero un russo, potevo vivere».