Sicarios
WJ #94Quello del sicario è un mestiere ambito, temuto e rispettato nei contesti criminali latinoamericani, e la ferocia, la spavalderia e lo spregio del pericolo rappresentano i piloni portanti della narrazione e della costruzione simbolica della vida loca.
A una cinquantina di chilometri dalle acque del Mar dei Caraibi, tra le foreste tropicali secche della Valle Sula, sorge quella che negli ultimi anni è stata fotografata dalle cronache come la città più pericolosa al mondo.
San Pedro Sula: “the murder capital of the world”, sulla quale sono stati spesi fiumi di inchiostro nell’ambito delle morbose classifiche sulla violenza metropolitana stilate da molti organi di informazione del primo mondo. A fronte di un tasso di oltre 170 omicidi ogni 100.000 abitanti (circa 10 assassinii al giorno), attorno alla seconda città dell’Honduras si è costruita, negli ultimi anni, una narrativa perversa e sanguinolenta, che ritrae una violenza multiforme e radicata in profondità.
Uno dei fenomeni strettamente legati alla violenza di strada honduregna è il sicariato al soldo degli interessi criminali delle pandillas. Quella del sicario è una figura introdotta dal diritto romano nell’ambito della lex Cornelia Sullæ de sicariis et veneficis dell’anno 81 A.C., introdotta da Silla per regolamentare le condanne penali relative ai crimini di omicidio.
In Honduras, il fenomeno è in espansione da una ventina d’anni, in seguito all’esacerbarsi delle rivalità tra le maras, e grazie alla complicità e all’incapacità delle amministrazioni locali e del governo centrale. Il sicariato in Hoduras imprime il suo sanguinoso contrassegno su tutti gli strati della società: tra le vittime, infatti, non si contano solo affiliati alle gang di strada, ma anche avvocati, giornalisti, giudici e attivisti.
La figura del sicario rappresenta la più truce frontiera del processo di disumanizzazione legato alla violenza dei contesti socialmente disastrati dell’America Centrale. Si uccide a comando, senza moventi che non siano quelli della retribuzione economica, a tutela di interessi connessi ai traffici illegali di armi, stupefacenti ed esseri umani. Gli esecutori muovono la mano violenta delle maras, le gang di strada di origine centroamericana nate nelle sovraffollate carceri californiane negli anni ’80 e oggi rientrate in El Salvador, Honduras e Guatemala a dettare legge per le strade delle colonias. Quello del sicario è un mestiere ambito, temuto e rispettato nei contesti criminali latinoamericani, e la ferocia, la spavalderia e lo spregio del pericolo rappresentano i piloni portanti della narrazione e della costruzione simbolica della vida loca. Uno dei fattori che hanno innescato il moto propulsivo dei traffici della Mara Salvatrucha e del Barrio 18 è stato descritto da Sonja Wolf, ricercatrice del Centro de Investigación y Docencia Económicas di Città del Messico. Nel suo libro Mano Dura: The Politics of Gang Control in El Salvador, la Wolf tratta le vicende relative alle conseguenze della cosiddetta politica della mano dura, inaugurata dai governi centroamericani nel 2003 allo scopo di reprimere violentemente le attività criminali delle due principali maras. Queste direttive governative transnazionali hanno avuto un profondo impatto sull’organizzazione e sulla struttura delle pandillas, determinando quello che la Wolf definisce “effetto scarafaggio”, ovvero la dispersione geografica e la proliferazione incontrollata di singoli nuclei afferenti alla MS-13 e alla Mara-18.
Le misure soppressive di queste politiche si sono rivelate efficaci in una prospettiva unicamente elettorale, mentre i tassi di omicidi hanno conosciuto drastiche impennate e molti casi sono stati archiviati per mancanza di prove. Nonostante tutto, la politica della mano dura continua a dominare l’approccio alla gestione delle vicende criminali in tutti e tre i paesi dell’istmo, e spesso l’unica attività delle forze di sicurezza colluse è la supervisione delle scene del crimine.
Ciò che resta in questo panorama desolante, una volta dileguatisi i sicari, è l’unico volto umano dell’intera faccenda: quello del dolore dei familiari delle vittime, e quello dei cimiteri, sovraffollati tanto quanto le carceri, in cui la dignità dei vivi e la memoria dei morti sono parimenti annichilite.