Senza Corpo
WJ #120“Il contrasto che si crea tra l’apparenza commerciale e i vestiti logori dovrebbe portare a riflettere sia sulla condizione del migrante sia sulla nostra società piena di contraddizioni”
Un progetto fotografico, un sito di e-commerce (finto) e una raccolta fondi. Tutto questo è ‘Senza Corpo’, il reportage artistico di Anna Elisabetta Raffin, che ha trovato un modo alternativo per raccontare il fenomeno migratorio lungo la rotta Balcanica. I vestiti fotografati sono stati raccolti nella Val Rosandra, in Friuli Venezia Giulia, al confine con la Slovenia, in alcuni dei sentieri percorsi da quelle persone che, per sopravvivere, sono costrette a intraprendere il tragitto definito ‘The game’, ossia il tentativo di passare le frontiere senza essere respinti, con tutte le conseguenze di sorta.
Ed è proprio sul concetto di ‘gioco’ che ha voluto insistere l’artista che ha trasformato gli abiti in opere d’arte, isolandoli su sfondo bianco e pubblicandoli online, sul sito e su Instagram, come se fossero in vendita. “Non si tratta di un reportage ma di un lavoro che unisce l’artistico al documentario”, racconta la fotografa, spiegando che “il contrasto che si crea tra l’apparenza commerciale e i vestiti logori dovrebbe portare a riflettere sia sulla condizione del migrante sia sulla nostra società piena di contraddizioni”. Il pulsante ‘Buy’ sui vestiti però rimanda a una donazione, gestita direttamente dall’associazione Linea d’Ombra che opera a Trieste per curare e sostenere i migranti. Ciò che oggi sta accadendo sulla rotta balcanica “sarà, in futuro, il tragico avvenimento di un passato che ci impegneremo a ricordare con tanta cura e discernimento”, insiste la fotografa.
Il reportage si chiama ‘Senza corpo’ e per assenza non s’intende solo in riferimento al corpo umano che ha indossato quegli abiti, ma è soprattutto un’allusione al corpo privato di valore umano, di diritti e di ruolo sociale. Non solo, spiega Raffin, “quel corpo deve attraversare gli stadi più estremi della sopravvivenza”, come la fame, la sete e il freddo. Ma quei corpi sono anche privati dei diritti civili e umani che la nostra società, in teoria, riconosce come diritti universali.