Scusate il ritardo
WJ #136A Napoli la vittoria è ancora un rovesciamento della sorte, un colpo di teatro. È una specie di colpo inflitto alla morte. Molto più che una vittoria, è una rivoluzione contro la sconfitta. È scoprire che la vita è così forte che niente può piegarla.
Michele Serra
Da un punto di vista strettamente sportivo, non è da escludere che tratteremo il 4 maggio 2023 come un dettaglio quasi ininfluente nel racconto che in futuro faremo del terzo trionfo della Società Sportiva Calcio Napoli nella massima serie del campionato italiano di calcio.
Torneo dominato, dagli uomini di Spalletti, ma soprattutto dalla sensazione da loro instillataci di aver sbaragliato la concorrenza già da febbraio e di essere ormai destinati a vivere una grande festa. Lo ricorderemo magari così, questo scudetto: come una somma di attimi intensi, una lenta agonia inflitta alla morte stessa, un rovesciamento della sorte studiato a dovere da una società che, alla fine di tutto, ha avuto ragione tanto sugli avversari quanto sugli scetticismi di inizio stagione.
Sembrerebbe, dunque, tutto così lontano dalla lettura che – anche chi, come chi scrive, a Napoli ci è nato e cresciuto – tendiamo a dare della realtà di questa città, della sua gente, del suo “spirito”. Com’è possibile che il più grande trionfo annunciato nella storia più o meno recente dello sport italiano si sia concretizzato proprio in quel microcosmo di casa nostra che da sempre siamo abituati ad associare alle forze di una mistica sotterranea, quasi sovrannaturale, piuttosto che alla determinatezza di quella ragione cartesiana perfino sbeffeggiata da alcuni striscioni visti in città in questi giorni? Questo senso di imminenza e di ineluttabilità della vittoria pare sia riuscito finanche a sconfiggere quella secolare scaramanzia di popolo che secondo alcuni ci caratterizzerebbe. Ma forse anche questi sono luoghi comuni.
La cosa certa è che la centralità assoluta in questo grande rituale andato in scena a partire dai primi mesi dell’anno ce l’ha avuta proprio il popolo; non solo quello fisicamente presente, che – nella proverbiale attesa del piacere, o per meglio dire nella sua diluzione – ha contribuito a caricare la squadra e “scenografare” l’ambiente. Oltre i palazzi e le strade addobbate, oltre gli spettacoli pirotecnici e le ingegnose trovate di ogni risma, la gioia di questa vittoria ha oltrepassato i confini, sincronizzato e armonizzato cuori di appassionati sparsi in ogni angolo del mondo, come quello di chi scrive.
Ciò è accaduto attraverso una progressiva acquisizione di consapevolezza, una maturazione che ha saputo coniugare il razionale all’irrazionale sconfiggendo lo spettro della sorte avversa. Quel che è ancora più rilevante in questa vicenda che in qualche modo ci rende “adulti”, è che sia stata la vittoria dei protagonisti, e non delle icone; quasi una beffa all’abitudine di chi è visceralmente legato ai propri simboli e alle proprie idolatrie.
Pur cedendo a tratti ad un minimo di arroganza – venatura caratteriale che certo non ci è estranea – collettivamente abbiamo forse oltrepassato la soglia di determinate categorie statiche a cui generalmente ricorriamo nella descrizione dell’estrema complessità del nostro spirito di popolo. Napoli ha provato a sé stessa che la via di una sintesi tra la fatica e il miracolo, tra il genio e la dannazione, è percorribile. Ha dimostrato che – con le parole di Sanguineti – è possibile gabbare i santi così come la morte. Che la vita può essere eterna, e siamo noi a renderla tale.