Remains
WJ #121L’8 settembre 2020, un incendio ha distrutto il più grande campo profughi d’Europa, Moria, lasciando quasi 13.000 tra uomini, donne e bambini senza riparo. Nella fuga per salvarsi dalle fiamme, molti hanno dovuto abbandonare i loro pochi averi.
La tragedia che si è consumata a Lesbo è l’emblema delle politiche fallimentari adottate dall’Unione europea e dagli stati membri nella gestione della crisi migratoria. Le relazioni tra UE e Turchia, in corso di consolidamento già dal novembre 2015, sono state formalizzate con l’accordo di cooperazione firmato nel 2016, volto a controllare e frenare i flussi migratori diretti in Europa. L’accordo sancisce che, a partire dal 20 marzo 2016, tutti coloro che riescano a raggiungere le isole greche, nonostante il rinforzo dei controlli militari, e che non presentino domanda di asilo, saranno rimpatriati in Turchia. L’Unione Europea ha stanziato 6 miliardi di euro per l’attuazione di questa politica, considerata imprescindibile per la gestione dei migranti irregolari.
Ad oggi, migliaia di persone in arrivo in Grecia e sulla rotta balcanica sono trattenute in attesa di essere “riammesse” in Turchia.
Le condizioni di vita a Moria erano disastrose ben prima dell’incendio. In uno spazio inizialmente concepito per meno di 3000 persone, i residenti sono stati per anni stipati in tende sovraffollate, con accesso limitato a cibo, acqua, servizi igienici e assistenza medica. Inutile dire che la situazione non è cambiate neanche durante la crisi sanitaria per Covid-19
Camminando tra i resti del più grande campo profughi d’Europa, l’atmosfera è irreale. Ancor più della distruzione, è il silenzio che opprime. Niente più chiacchiericcio. Niente più tintinnio di piatti. Nessun suono che dica la presenza umana. Si sentono solo il canto degli uccelli e il fruscio dei gatti tra i resti dell’accampamento, a amplificare la sensazione di estraneità che dilaga tra le macerie carbonizzate.
A testimonianza della vita che animava il campo, restano solo alcuni oggetti abbandonati tra la cenere. Cucchiai carbonizzati. Occhiali da vista. Scarpe. Un libro di inglese, simbolo della resilienza di chi, imparando la lingua, costruiva la vita futura. Oggetti banali e quotidiani che ci parlano di persone che questo posto lo hanno abitato per mesi, anni, cercando, giorno dopo giorno, di renderlo casa.
Oggi queste persone sono in un nuovo campo, l’ennesimo tentativo dell’Unione Europea di rendere invisibile la situazione sulle isole dell’Egeo.
Le immagini di Annachiara Ruzzetta ci restituiscono le tracce di questa umanità disperata e resistente, che chiede di essere vista, non dimenticata.