Red Ants

WJ #105

Un uomo solleva di peso due bambini, uno nella mano destra, l’altro nella sinistra.  Hanno l’aria di essersi appena svegliati, o forse credono di sognare un incubo particolarmente reale.

Chi è più giovane, è meno preparato al loro arrivo; chi è più anziano invece già sapeva che, prima o poi, sarebbero arrivati. Sono uomini strani, che indossano tute da lavoro rosse e caschetti rotondi dello stesso colore. Cantano, come se fossero nei campi, o in un cantiere, come se si trattasse di una giornata di lavoro come un’altra, nelle strade di Johannesburg.

Le Formiche Rosse (“Red Ants”) sono una società sudafricana di sicurezza privata, specializzata negli sgomberi di “invasori illegali” dalle proprietà. Da dove vengono? Dai cancelli di una fattoria tentacolare nella provincia di Gauteng due o tre volte alla settimana, a bordo di autocarri guidati da “ufficiali” armati di pistole e fucili.

Soprattutto però provengono da situazioni di povertà estrema, come le piccole città minerarie dismesse o dai villaggi delle lontane montagne, da Soweto o dai quartieri disagiati di Johannesburg. Perlopiù sono giovani e privi di educazione scolastica e qualifiche lavorative, alcuni hanno un passato criminale. Tutti sono poveri. Vengono pagati meno di 9 euro al giorno, più un po’ di cibo. Alcuni sono a loro volta occupanti e squatter, come le persone che picchiano e sgomberano per lo stesso motivo. Ma, come si dice, “il lavoro è lavoro”.

Le Red Ants sono tristemente famose in Sudafrica per essere state ripetutamente accusate di crimini e violenza a tutti i livelli, dal furto, all’abuso, all’omicidio. La denuncia delle associazioni per la difesa dei diritti umani è forte e decisa, ma l’opinione pubblica e il vissuto della popolazione sono più sfumati e, a tratti, ambivalenti. Una grossa responsabilità va di fatto attribuita al regime dell’apartheid, che per quasi 50 anni ha dominato il paese lasciando in eredità, fra le molte problematiche, una quantità di alloggi insufficienti e inadeguati. Il mercato illegale degli intermediari, che trattano lotti di terra abbandonata fuori dalle città ed edifici dismessi nel centro, non piace all’autorità locali, che nelle Formiche Rosse trovano un comodo alleato. I capi stessi della “manovalanza” sono veterani le cui storie hanno un passato complesso, legato ad azioni militari in altri stati africani o a carriere interrotte nei corpi di polizia.

L’Ant Security Relocation & Eviction Service si è occupato per conto delle autorità cittadine dello sgombero di edifici centrali come Fattis Mansion, abbandonato durante gli anni ‘80 e ‘90 da uomini ricchi, principalmente bianchi, dunque occupato da migranti poveri in fuga dalle zone rurali.

Tre lavandini per 400 persone, nessun servizio igienico, né corrente elettrica. L’operazione di sgombero inizia all’alba, senza preavviso e nessuna resistenza: non ci sono gli strozzini a difendere il posto, i pusher e i capi gang sono già tutti fuggiti quando il canto comincia sommesso, mentre le formiche procedono lungo i corridoi sporchi e sulle scale arrugginite.

Poi il rumore. Se l’operazione sta andando bene, si sentono i suoni di un cantiere qualsiasi: martelli ritmati, motori diesel, canzoni, radio, ordini ad alta voce. Se però qualcosa va storto, i suoni sono quelli di una guerriglia: spari, passi in fuga, sirene e urla di abuso.

Un uomo solleva di peso e porta fuori dall’edificio due bambini, uno lo tiene con la mano destra, l’altro con la sinistra. Solo quando quelle due mani si accorgeranno di far parte di un unico essere umano ci sarà pace. E potremo credere di vivere un sogno, particolarmente reale.

Il lavoro di Oatway sarà in mostra a Bologna, dal 24 maggio al 9 giugno, all’interno Festival IT.A.CÀ, nella sezione fotografia curata dall’Associazione TerzoTropico, in collaborazione con Qr Gallery e Witness Journal.

Il reportage

A Johannesburg scorre un fiume rosso


Intervista a James Oatway di Lara Mariani

 

Scudi, elmetti, fuoco e fumo invadono tutta la fotografia. Probabilmente state pensando a un paese in guerra. E a giudicare dalla vegetazione che si intravede tra il fumo nero, forse la vostra mente corre a uno dei tanti paesi africani dilaniati da anni di guerre civili e lotte intestine. Sud Sudan, Uganda, forse Somalia. Invece siamo a Johannesburg.

Per noi europei che siamo abituati a immaginare il Sudafrica come “quel mezzo continente che somiglia più all’Europa che all’Africa ” è difficile da credere, ma la guerra c’è. La potremmo definire una battaglia a bassa intensità, che si manifesta soltanto in alcune giornate ed è commissionata non dagli stati, ma da committenti privati, ma sempre guerra è… e manco a dirlo ovviamente, alla fine, è una questione tra poveri.

 

Quelle che vedete sono le “Red Ants”, le formiche rosse.

La “Red Ants” è una società di sicurezza privata di Johannesburg i cui dipendenti vengono ingaggiati dai proprietari di immobili privati – spesso consigli comunali – per far rispettare gli ordini di sfratto. Sostanzialmente vanno a liberare le case occupate abusivamente, che di per sé sarebbe un’azione legale. Ciò che è illegale è l’eccessiva violenza utilizzata durante alcune operazioni.

James Oatway ha voluto documentare queste operazioni. Ha voluto trascorrere parecchio tempo con le formiche rosse e il risultato è questo incredibile lavoro con cui ha vinto il Visa d’or Feature Award al Visa pour l’image di Perpignan, il più importante festival di fotogiornalismo al mondo.

 

James, la prima domanda che ti devo fare riguarda l’inizio dei lavori. Come hai fatto a ottenere l’autorizzazione per stare con le formiche rosse?

È stato difficile avere accesso a questo gruppo, mi ci sono voluti tre mesi per ottenere dal titolare della società il permesso per stare con loro. Ovviamente non amano l’attenzione dei media, ma c’è anche da dire che i giornali hanno un’attenzione superficiale perché enfatizzano solo gli aspetti negativi del gruppo, le uccisioni o i furti che avvengono durante le operazioni. Ma il loro lavoro non è solo quello e io ho cercato di dimostrarlo. Quando ho contattato il boss della società sono stato onesto, ho detto che volevo passare del tempo con queste persone mentre lavoravano, vivere la loro quotidianità per vedere come si comportavano e alla fine lui ha accettato.

 

E i dipendenti, gli uomini impegnati direttamente sul campo, ti hanno accettato subito?

Diciamo che se andava bene per il boss, doveva andare bene anche per loro. Ci hanno, anzi ci abbiamo messo qualche mese per adattarci a questa nuova situazione, anche perché i Red Ants non lavorano tutti i giorni. I senior (quelli vestiti di nero e dotati di armi da fuoco) lavorano costantemente, ma i rossi vengono ingaggiati all’occorrenza e guadagnano 6/7 euro al giorno.

 

Non ho bene idea del costo della vita in Sudafrica, ma mi sembra una miseria.

È una guerra tra poveri. Molto spesso le Red Ants si coprono il volto, non solo per difendersi dal fumo che invade certe operazioni, ma per celare la loro identità perché spesso si trovano a sfrattare dalle case occupate persone che appartengono alla loro stessa comunità. E spesso quando a fine giornata si tolgono quelle tute rosse, tornano in quegli stessi quartieri.

 

E tu quando uscivi in spedizione con loro come ti vestivi?

Così come sono vestito oggi. Pantaloni e t-shirt bianca. Per questioni di sicurezza quando ci sono operazioni pericolose indosso un elmetto bianco. Sto attento a non indossare niente che abbia a che vedere con loro, perché non mi voglio identificare nel gruppo. Non voglio che gli altri pensino che io sia un Red Ants, ma non voglio neanche io immaginarmi in quel modo e farmi coinvolgere. Io non ero parte del gruppo, così come invece avviene per alcuni photo-reporter ad esempio in Afghanistan che fanno parte dell’esercito statunitense. Però ci sono state occasioni in cui ho dovuto dichiarare che non facevo parte del gruppo perché altrimenti mi avrebbero aggredito.

 

Ti sei dovuto difendere?

In occasione di questo scatto ho gridato più volte “sono solo un giornalista, sono solo un giornalista”. Quel giorno c’era una grandissima operazione, dovevano sgombrare un terreno molto grande e c’erano 1000 Red Ants e diverse migliaia di membri della comunità. Io stavo camminando da una parte all’altra, e a un certo punto ho individuato un gruppo, ma uno dei red mi disse di non avvicinarmi perché era stato ucciso qualcuno della comunità ed era possibile che mi associassero a loro se mi facevo vedere. Io ho alzato la macchina fotografica per dire che ero soltanto un giornalista.  In quel caso mi hanno permesso di avvicinarmi. Ho visto l’uomo che era stato colpito, che era ancora vivo e ho potuto lavorare, ma solo per 15 minuti. Poi mi hanno intimato di andar via, altrimenti avrebbero ucciso anche me. Alla fine della giornata il conto dei morti era salito a due.

 

Dalle tue foto vedo però che i morti non sono solo tra i “civili”.

Ho fotografato il funerale di Kervin Arthur, ucciso a Lenasia durante uno sgombero. I membri della comunità non solo gli hanno sparato ma lo hanno anche pugnalato più volte. Stavano anche per bruciarlo, ma poi le Red Ant sono intervenute hanno portato via il suo corpo.

 

La violenza genera violenza, lo sappiamo ma tu hai dimostrato che le operazioni non sono sempre e solo criminali.

Le formiche rosse sono tutte persone con storie diverse. Alcuni sono dei criminali, ex galeotti ma altri sono uomini normalissimi, brave persone che fanno questo lavoro solo per sbarcare il lunario perché di lavoro non ce n’è. Ci sono giovanissimi e meno giovani, in generale vanno dai 18 ai 60 anni.

 

E gli sfrattati dopo le operazioni dove si rifugiano?

Vanno a occupare altri edifici, spesso in condizioni ancora più difficili delle precedenti. È un circolo vizioso che non finisce mai perché il governo non sta facendo abbastanza per risolvere la situazione. Ci sono persone in lista d’attesa per una casa popolare da 10 anni. Aspettano, aspettano e a causa della burocrazia e della corruzione vedono quelle che dovrebbero essere le  loro case, sfuggirgli da sotto il naso perché vengono assegnate ad altri. O addirittura succede che a causa dei vari passaggi burocratici gli edifici costruiti e finiti rimangano vuoti per sei mesi o anche per un anno. E l’odio inevitabilmente si auto-alimenta.

Finisco di tradurre e scrivere l’intervista e penso che non voglio chiudere con questa frase. Per questo vi lascio con questa immagine di una formica rossa che assiste una signora anziana durante lo sfratto di un edificio. Non voglio rinunciare a quel briciolo di umanità che James ha visto nelle Red Ants. E non voglio che ci rinunciate neanche voi. 

Scheda autore

James Oatway

James Oatway è un fotoreporter sudafricano indipendente. È stato il capo fotografo del Sunday Times fino al 2016. Il suo lavoro si concentra principalmente su questioni politiche e sociali in Africa, sulle migrazioni e sulle persone colpite da conflitti. Ha pubblicato per The Guardian, The New York Times, Stern, Internazionale, Le Monde, TIME, Harper’s Magazine, Science, Colors, Paris-Match, L’Obs e altri. Ha lavorato per diverse associazioni non governative fra cui Open Society Foundation (OSF), Doctors Without Borders (MSF), Eastern Congo Initiative (ECI), Amnesty International and The Centre for Environmental Rights (CER), WHO e UNHCR. Lavora per l’UNICEF ed è contributor di Reuters. Nell’aprile del 2015, ha fotografato l’attacco fatale di uomini sudafricani ai danni di un migrante dal Mozambico, Emmanule Sithole; l’immagine ha fatto scalpore e suscitato critiche sulle testate internazionali. Sempre nel 2015 è stato nominato Giornalista sudafricano dell’anno. Nel 2018 il suo progetto documentario “Red Ants” ha vinto il Visa d’or Feature Award al Visa pour l’image di Perpignan. Ha due figli che ama con tutto il cuore.

English version

Red Ants

By James Oatway

Story edited by Matilde Castagna

 

 

A man lifts two children, one with his right hand, the other one with his left one. The kids look like if they were just awoken or, maybe, they are thinking to be in an awkwardly real nightmare.

The younger ones are not prepared for their arrival; the eldest may already have known that, sooner or later, this should have happened. These men look strange, they wear red working jumpsuits and red helmets. They sing along, as workers do in fields or in a building site, in any working day like another one, in the streets of Johannesburg.

 

The Red Ants are a private security company, specialized in clearing “illegal invaders” from properties. Where do they come from? They exit the gate of a sprawling farm in Guateng province every two or three times a week, on convoy trucks lead by “officers” with handguns and shotguns. Mostly, though, they come from extreme poverty; their hometowns are the small former mining towns, the remote villages in the mountains, sometimes Soweto or the poor quarters in Johannesburg. Most of them are young without basic education and some of them have a criminal past. All of them are poor. Their daily salary is $10 plus some food. Some of them are squatters like the ones they beat and fetch, exactly for the same reason. But, as they say, “work is work”.

 

 

Red Ants are sadly known in South Africa for repeated charges of several kind of crimes, ranging from thefts, to violence and murder. Human rights associations have no doubt in condemning them, yet people’s feelings are more ambivalent. A big responsibility for the insufficient and unstable housing system dates back to the apartheid regime that for over 50 years has ruled the country. Indigent people have asked middleman to get wasted lands off town and abandoned buildings in the center, causing a phenomenon that local authorities dislike. Red Ants help them to fight this, in first place through their chiefs, who are mostly “veterans” and usually have a complex past, interwoven to other countries military fights or interrupted careers in the police.

 

 

The Ant Security Relocation & Eviction Service took care of the eviction of Fattis Mansion, a building in the city center and economic district that was abandoned in the ‘80s and ‘90s by rich, mainly white men and was then occupied by poor, rural people.

Three taps for over 400 people, no toilets and zero electricity.

 

The operation starts without advice, an early morning, with the muttered singing of 600 Red Ants and no resistance from “the enemy”: middlemen are long gone, with pushers and gang leaders. The Red Ants walk down the filthy corridors and up rusty stairs.

Then you hear the noises. If everything is going well, it will sound like any working day in a construction site: hammers rhythmically beating, diesel engines, songs, radio, loud voice orders. If something goes wrong, then the sound is the one of a battle: shots, running steps, sirens and screaming from abuse.

 

 

A man takes two kids out of a building; he lifts one of them with his right hand and the other with his right one. Only when those two hands will discover themselves being part of the one human being, there will be peace. And we will think we might be living an awkwardly real dream.