Recicladoras
WJ #110di Chiara Negrello
Testo a cura di Davide Barbera
L’ecologismo è il nuovo credo della società contemporanea. Al netto dei traguardi raggiunti nell’arco degli ultimi decenni – come la riduzione del 90% delle emissioni automobilistiche e il restringimento del buco dell’ozono – il culto “green” continua la sua incetta inarrestabile di consenso, soprattutto in Occidente. E se nel nostro emisfero la causa dell’ecosostenibilità gode di ottima salute massmediatica, lo stesso non può dirsi per il Sud del mondo.
L’opera di Negrello ci conduce attraverso la notte buia di Quito, capitale dell’Ecuador. Qui, a dispetto delle conquiste elencate dagli enti locali, il destino della raccolta differenziata è affidato letteralmente alle spalle dei “riciclatori”. In larga parte donne di età compresa tra i 15 e gli 80 anni, spesso trascorrono più di dodici ore tra i miasmi dei rifiuti, alla ricerca di tutto ciò che è in grado di essere riutilizzato. In base alle stime della Rete Nazionale dei Riciclatori dell’Ecuador (Renarec), a Quito le unità coinvolte nel servizio di raccolta sono 3.400.
A turni di lavoro massacranti si aggiungono i rischi connessi alla criminalità notturna della capitale sudamericana e i salari da fame che le donne ricavano dalla loro attività. In città come Quito o Cuenca (la terza più popolosa dello Stato), il governo non prevede meccanismi di pagamento periodico fisso; circostanza che si converte in una remunerazione ingiusta, basata sulla quantità di materiale riciclato effettivamente venduto e non sul servizio che i lavoratori forniscono alla comunità. Il salario trimestrale si aggira intorno ai 300 dollari, circa la metà di uno stipendio base mensile. La matematica suggerisce cifre da povertà assoluta. Questo costringe soprattutto le recicladoras – non di rado madri single – a cercare altri impieghi, assottigliando ulteriormente il tempo da dedicare alla famiglia.
Nell’era della rivoluzione ambientalista, ai riciclatori non soltanto è negata una retribuzione dignitosa, ma anche il riconoscimento della loro funzione sociale; non godono di alcun diritto – e molti di loro ignorano di poterne vantare alcuno.
Lavorare con i rifiuti finisce così per generare, simbolicamente, altri rifiuti.
Il reportage
Scheda autore
Chiara Negrello
Chiara Negrello è una fotografa freelance nata a Rovigo nel 1995. Dopo essersi diplomata si trasferisce a Firenze, città dove attualmente vive, per frequentare un corso triennale di laurea in fotografia. Dopo gli studi continua a portare avanti la sua passione per il reportage e la fotografia documentaria continuando a sviluppare progetti personali che affrontano tematiche sociali sia in Italia che all’estero.
Fotocamera: Canon 5d Mark III
Obiettivo: Canon 35mm f1.4 / Canon 50mm f1.8 / Canon 85mm f1.8
English version
Recicladoras
Photos by Chiara Negrello
Text by Davide Barbera
Ecologism is the New Faith of contemporary society. Net goals achieved over the last decades – such as the reduction of 90% of car emissions and the ozone hole shrinking – the “green” cult continues its unstoppable hoard of consensus, especially in the West.
If in our hemisphere the cause of eco-sustainability enjoys excellent mass media health, the same cannot be said for the South of the world.
Negrello’s work leads us through the dark night of Quito, the capital of Ecuador. Here, contrary to the achievement reported by the local authorities, the fate of the separate collection is literally entrusted to the “recicladoras” shoulders. In large part women between the ages of 15 and 80 often spend more than twelve hours in the miasma of waste, looking for anything that can be reused. According to estimates by the National Network of Recyclers of Ecuador (Renarec), in Quito there are 3.400 units involved in the collection service.
In addition to the massacring shifts of work, there are the risks associated with night-time crime in the South American capital and the starvation wages of women workers. In cities such as Quito or Cuenca (the third most populous city in the state), the government does not foresee a fixed periodic payment model. This is equivalent to an unfair remuneration, based on the quantity of the recycled material sold and not on the quality of the service that workers provide to the community. The quarterly profit is around 300 dollars, about half of a basic monthly salary. Math suggests figures of absolute poverty. These conditions force the recicladoras – frequently single mothers – mainly to look for other jobs, further reducing parental time.
In the age of the environmental revolution, recyclers are not only denied decent remuneration, but they are also denied the recognition of their social purpose. They have no rights – they could claim them, but they are not aware of this.
Working with waste thus creates, symbolically, other waste.