Rapsodia in C-19

WJ #114

“Rapsodia in C-19 vuole preservare la memoria di tutti loro, pazienti, medici e infermieri, al di là del racconto degli eroi e dei santi. Come dichiarato da una collega, ‘Eroina un cazzo! Io sono un essere umano’.”

Eroi, martiri, vittime, santi, sopravvissuti: sono solo alcuni dei termini con i quali i media hanno battezzato le persone colpite da Covid-19 e coloro che se ne sono presi cura, spesso salvandole, a volte non riuscendoci, a volte finendo per diventare loro stessi delle vittime della pandemia. Il 9 marzo 2020 l’Italia chiude i battenti. Fra le poche saracinesche ancora aperte ci sono quelle degli ospedali, sempre più stipati. I posti di rianimazione sono insufficienti: è necessario crearne di nuovi ovunque le strutture lo permettano. In pochi giorni anche l’ospedale dove lavoro come infermiere, l’Umberto I° “ Mauriziano” di Torino, inizia una corsa contro il tempo per trovare gli spazi adeguati per trattare le urgenze da Covid: alcuni reparti vengono rapidamente trasformati in rianimazioni, molti altri convertiti in degenze per i casi che non necessitano di cure intensive. Ma il problema maggiore è trovare il personale: i pazienti Covid sono critici, richiedono assistenza e cura altamente competenti. All’interno dell’ospedale ci si suddivide fra esperti i novizi: i primi sono i mentori, i secondi gli allievi. Per tutti l’esperienza è travolgente. Eppure, al di fuori, nessuno sa ciò che accade all’interno dell’ospedale. L’emergenza Covid-19 è diventata l’occasione per raccontarlo, sia dal punto di vista dei degenti sia da quello del personale sanitario. È una storia vissuta in prima linea, parlando con i colleghi, ascoltando i pazienti, vivendo insieme a loro. A trapelare sono la solitudine, la stanchezza sui visi segnati degli infermieri, le voci tremanti durante le videochiamate. I dispositivi di protezione individuale, le mascherine e le tute, nascondono le identità, ma non trattengono la gioia di un paziente che per la prima volta riusciva a radersi la barba, o la preparazione fredda e sconvolgente delle salme. Rapsodia in C-19 vuole preservare la memoria di tutti loro, pazienti, medici e infermieri, al di là del racconto degli eroi e dei santi. Come dichiarato da una collega, “Eroina un cazzo! Io sono un essere umano”.

Il reportage

Elenco fotografie con descrizioni

001: “Questa era la situazione standard…”- Tiziana, infermiera

002: “Più di una volta non ho riconosciuto dei colleghi con la quale ho lavorato per anni”- Emilio, infermiere e fotografo

003: “Tranquillizzare i pazienti quando si svegliavano per la prima volta era di fondamentale importanza”- Tiziana, infermiera

004: “Il grosso inconveniente del casco C-PAP è il rumore assordante dovuto al flusso del mix di aria ed ossigeno”-Renzo, medico e paziente.

005: “…sapevo di per certo che se non fossi migliorato, il prossimo passo sarebbe stata l’intubazione o la cannula tracheostomica”- Renzo, medico e paziente

006: “Qual che mi è mancato di più è stato il contatto umano, tutto veniva filtrato dai guanti e dalle mascherine”- Anna, fisioterapista

007: “Il lavoro d’equipe è stato l’elemento fondamentale che ci ha permesso di lavorare al meglio anche nei momenti più critici”- Oriana, infermiera

008: “Il tempo di liberare un letto ed ecco che veniva occupato da un nuovo paziente”- Tiziana, infermiera

009: “Era quasi impossibile muoversi, c’erano fili, cavi, tubi, macchinari ovunque lo spazio lo permettesse”- Emilio, infermiere e fotografo

010: “Non vedevo l’ora di tornare a casa, farmi una doccia, mangiare qualsiasi cosa e spegnere il cervello”- Tiziana, infermiera

011: “Nonostante le mascherine, si vedeva chiaramente che erano tutti stanchi morti”-Renzo, medico e paziente

012:” Mi porterò dietro la grinta di uomini e donne che nonostante le difficoltà sono riusciti ad alzarsi dal letto e tornare a camminare”- Claudia, fisioterapista

013: “Le prime videochiamate dei pazienti dopo settimane di coma sono emozione pura!”- Daniela, infermiera

014: “Le attività non si fermavano mai, ne di giorno ne di notte”-Oriana, infermiera

015: “La pronazione era il momento fisicamente più impegnativo, ma i risultati erano sorprendenti”- Justina, infermiera

016: “…ricorderò la pandemia per i tanti morti insacchettati ed innaffiati di candeggina, soli, lontano dalle proprie famiglie…”- Daniela, infermiera

 

Scheda autore

Emilio Campobenedetto

Rapsodia in C-19

Valsusino, a 18 anni ha il suo primo approccio col mondo sanitario diventando volontario della Croce Rossa. Nel 2006 si laurea in infermieristica ed inizia la sua carriera presso il reparto di cardiochirurgia dell’Ospedale Umberto I “Mauriziano” I di Torino; nel 2016 passa alla rianimazione cardiovascolare. Appassionato di viaggi, trascorre molto tempo nei paesi scandinavi dove sviluppa un grande interesse per la cultura sami. È proprio in quelle terre che inizia la sua passione per la fotografia, soprattutto di tipo paesaggistico e di reportage. Negli anni, ha partecipato in veste di fotografo a molti progetti interni all’ospedale Umberto I col Gruppo Salute ed Arte. Nel 2020, insieme a Maria-Angela Silleni, ha documentato il Mercato invernale sami di Jokkmokk, Svezia.

Fotocamera: Canon EOS R + Canon EF, Canon EOS 7D
Obiettivo: 50MM f/1.8 STM, Sigma 10-20 3.5-5.6, Canon 24-104 L f/4

English version

Rapsodia in C-19

by Emilio Campobenedetto

Text by Emilio Campobenedetto e Maria Angela Silleni

The purpose of Rhapsody in C-19 is to remember all – patients,

doctors and nurses – beyond the tale of heroes and saints. In the words of a

colleague: ‘I am not a hero, I am human being’.

Heroes, martyrs, victims, saints, survivors: these are only some of the words

used by the media to define people affected by Covid-19 and those who took

care of them, often saving them, sometimes not being able to, some other

times ending up being themselves the victims of this pandemic.

On 9 March 2020 Italy enters lockdown. Only a few doors remain open, among

them those of the hospitals which quickly became more and more crowded by

the day. The intensive care beds were not enough: wherever possible, new

ones were set up. In a few days in the hospital where I work as nurse, the

Umberto I Mauriziano in Turin, there was a rush against time to find adequate

spaces to treat Covid emergencies: some departments were quickly turned

into intensive care units while others were converted to welcome less critical

patients. But the biggest challenge was to find the staff: Covid patients need

very skilled and competent carers to look after them. In the hospital the staff

were divided into experts and beginners: the first ones were mentors to the

seconds but for everyone involved the experience was overwhelming.

From the outside, nobody knows what is going on in hospitals. The Covid-19

pandemic has become an opportunity to tell the stories of both patients and

their carers. It’s a story lived on the front line of this pandemic, talking to

colleagues, listening to patients, living this crisis all together.

What came out from this experience were the loneliness, the exhaustion on

the nurses’ faces, the trembling voices during the video calls. The PPEs, the

masks, the gowns hide the identity but they didn’t hold back a patient’s joy

when he was able to shave again for the first time, or the cold and upsetting

preparation of the deceased bodies.

The purpose of Rhapsody in C-19 is to remember all – patients, doctors and

nurses – beyond the tale of heroes and saints. In the words of a colleague: ‘I

am not a hero, I am human being’.