Princesas
WJ #104Tra i vicoli di una Catania atipica, nel quartiere tanto vitale quanto anomalo di San Berillo, la quotidianità delle professioniste del sesso a pagamento trova quella liceità data dalla leggi non scritte e dalle consuetudini.
Di recente alcuni esponenti del governo di maggioranza hanno proposto in Parlamento una legge sulla riapertura delle case chiuse, riaccendendo un dibattito mai del tutto sopito dopo la legge Merlin del 1958. Mentre però nelle stanze romane si torna a discutere sulla regolamentazione della prostituzione, lontano dai luoghi del potere, “in un fazzoletto di terra delimitato da corso Sicilia, via Etnea e via di San Giuliano, pulsa il cuore di una Catania atipica, eccentrica, viscerale. San Berillo – racconta il fotografo – è da sempre pellegrinaggio di numerosi affezionati smaniosi di trovare quiete al tumulto dei propri istinti carnali”.
Angelo Anzalone, in un lungo percorso fotografico di due anni, racconta un quartiere dove “la legalità” del sesso a pagamento che qualcuno cerca con la legge, è stata trovata attraverso la consuetudine, gli usi e i costumi. Qui vivono le princesas, le principesse di un quartiere dove con il proprio corpo si offre “rassicurazione, affetto, piacere, protezione e a volte anche amore”, spiega Anzalone. Basta bussare. A San Berillo ci sono leggi non scritte, norme non stampate su carta, bensì tramandate di persona in persona tra i vicoli scuri e maleodoranti della città vecchia. San Berillo sa essere variopinta, mai ostile. “È stato difficile farmi accettare dal gruppo, come normale che sia, ma nessuna di loro è mai stata minimamente aggressiva nè inospitale nei miei riguardi. Con loro ho condiviso cibo e confidenze. Mi hanno aperto le porte della loro intimità e non mi hanno mai chiesto nulla in cambio. È un quartiere pieno di vitalità e allegria, così come di drammi e sotterfugi”, racconta Anzalone, che è riuscito ad entrare nelle vite private di coloro che lavorano col proprio corpo, per narrarle con l’occhio del fotografo, riprendendo la normalità di atteggiamenti che al di fuori di quel perimetro sono stigmatizzati come anormali. Oggi il quartiere mostra ancora le ferite delle didiscutibili scelte urbanistiche risalenti agli anni ’50 quando, a seguito di vari piani di ristrutturazione, molti abitanti del quartiere si sono spostati nel quartiere di San Leone (chiamato, non a caso, San Berillo nuovo), abbandonando tante attività commerciali tradizionali. I contenziosi legali tra Comune e privati hanno fatto il resto, lasciando che il quartiere si trasformasse in quello che è oggi “un luogo vivo e anomalo”, conclude l’autore.