Prima che sia notte
WJ #114“È complicato oggi rintracciare un altro sogno a Cuba che non sia quello di fuggire”
Cuba, da sempre, non è solo Cuba. È anche il suo difficile e tormentato rapporto con il mondo esterno, con ciò che è vagheggiato e temuto, atteso e discusso. Tutto ciò che è altro – un’altra vita, un’altra possibilità, un’altra terra – fa parte di Cuba e dei cubani come un dolcissimo male dai tratti spesso indistinti. Così, capita che l’allegria perenne del suo popolo si trasformi in un abito che copre il cieco desiderio di cambiamento e che Cuba, patria della vitalità, del calore, dell’energia e dei balli ininterrotti, riveli all’improvviso una malinconia straziante.
Il Bloqueo (come qui chiamano l’embargo), nonostante le aperture del presidente statunitense Obama nel 2016, è ancora una realtà con cui fare i conti. Il sito Cubadebate stima in 16 miliardi di dollari le perdite annuali del Paese dovute ai blocchi commerciali ancora in atto. Basterebbe un solo giorno senza embargo per assicurare un anno di cure agli oltre 300 mila cubani affetti da diabete, cancro e altre patologie gravi. Ma il Bloqueo non ha solamente congelato gli scambi commerciali con altri Paesi, ha tolto ad ogni cubano la possibilità di immaginare un Paese diverso.
È complicato oggi rintracciare un altro sogno a Cuba che non sia quello di fuggire. Un sogno intimo, coltivato segretamente, di fronte al quale la collettività rumorosa e festante si trasforma in tante individualità solitarie e silenziose.
Secondo l’autore “ciò non è colpa della rivoluzione, che ha contribuito a radicare valori preziosi che si mantengono intatti – l’accoglienza, la solidarietà, per citarne un paio – ma della miseria che da una trentina d’anni continua a riproporsi come minaccia ciclica”. Ma soprattutto, prosegue Feroce, “manca un’educazione che consenta ai cubani di distinguere realtà e fiction, di conseguenza moltissimi avrebbero voglia di scappare altrove senza conoscere davvero le condizioni di chi vive e lavora in quell’ovunque dorato”.