Over the riverbank
WJ #123Overt the riverbank è un progetto personale attraverso le mie origini ed i luoghi della mia giovinezza
Superare quel argine era ripetere un rito che il mio corpo riconosceva perfettamente. Lasciare alle spalle il paese e le sue regole, per ritrovare uno spazio di libertà. Decisi istintivamente di tagliare dritto tra la vegetazione alta per raggiungere velocemente il fiume. In quel breve tragitto mi ricordai di tante cose.
Il nascondino con i bambini del quartiere, le prime canne con gli amici, la prima bevuta, il sesso ingenuo tra adolescenti, ed i grandi fuochi con la ballotta nelle notti d’estate. Si, io e il mio gruppo ci rifugiavamo in quel lembo di terra selvaggia per scappare dal sistema, il sistema del paese. Il dovere lavorare, sposarsi, comprarsi una casa, essere elegante e composto in pubblico, per evitare che gli altri parlassero male di te. Per noi il paese doveva solo continuare a fottersi il fegato su qualche sgabello di uno dei suoi tanti bar. A pensarci bene, da bambino quel muro verde di terra ed erba mi sembrava totalmente inutile.
Il fiume mi sembrava troppo lontano per creare un pericolo, fino a quando, la sera di Natale del 98, mio papà mi portò a vedere la piena. La protezione civile stava rafforzando l’argine con dei sacchi di sabbia. Tutti erano presi da una strana frenesia ma a me non faceva paura. Osservo il bosco che mi circonda e mi rendo conto, forse per la prima volta, della sua particolarità. E’ il bosco più sottile che io abbia mai visto, da quando lascia le montagne fino al mare, questa striscia di alberi e vegetazione accompagna il fiume in tutto il suo percorso, allargandosi solo di qualche centinaio di metri.
Sono cresciuto in un bosco lungo e mi chiedo se questa particolarità ha condizionato la mia psiche. Mi sento felice, erano anni che non mi ritrovavo solo al di là dell’argine, ne assaporo gli odori. Ogni inverno questo lembo di terra cambia a causa delle alluvioni, muta il bosco, i sentieri ed il corso dei suoi fiumicciattoli. Nonostante questo e la mia lunga assenza riesco ad orientarmi e riconosco la conformità della terra, capisco dove dirigermi. Tra i vortici dell’acqua, riesco ancora a vedere il cerchio di sassi che conteneva i nostri fuochi ribelli nelle notti di estate. Mi fermo e percepisco qualcosa di unico e lampante, il paese che portavo dentro di me è cambiato. Tra le fronde degli alberi e lo scorrere dell’acqua sento che qualcosa si è elevato.
Per un attimo mi vedo, sono a casa di mio papà e sto guardando fuori dalla finestra del soggiorno. Studio la rete, che divide il nostro giardino da quello di mio zio e noto una sporgenza nella sua estremità bassa che corre lungo tutta la sua lunghezza, una specie di rigonfiamento. Mi chiedo chi se ne accorgerebbe, mi domando se mio papà si è mai soffermato ad osservarla.
Rivedo il mio cane, Rex, a scodinzolare e camminare appoggiandosi alla rete, nel tentativo, a noi umani assurdo, di sentirsi più vicino a quel mondo oltre alla recinzione. Saranno passati 10 anni e penso con nostalgia al suo segno invisibile. Visibile solo a chi sa, destinato ad essere dimenticato.
Il fiume è cambiato, la sua pelle è diversa, come la mia.