Outcasts – Stains of Kerala
WJ #128“Non è necessario avere un’infermità mentale per essere considerati pazzi. La depressione è sufficiente per essere abbandonati per strada”
Paolo Marchetti
“La terra di Dio” è come viene chiamato il Kerala, lo stato più a sud dell’India, in virtù della bellezza delle sue spiagge, delle sue acque, dei suoi monti e dei suoi parchi; ma il Kerala non è solo meraviglia e splendore, è anche sofferenza e abbandono, disonore e tabù.
Ogni anno migliaia di persone vengono disconosciute ed abbandonate per strada dalle loro stesse famiglie: la piaga dell’abbandono colpisce individui diversi per ragioni diverse, ma agisce con la stessa violenza su esistenze intrecciate dal comune denominatore del tabù.
Accade con uomini e donne affetti da disturbi psichiatrici o temporanei stati depressivi che, nella maggior parte dei casi, finiscono per rifugiarsi nell’abuso di alcol, incrementando ulteriormente il numero di alcolisti dello stato, il più alto di tutto il sub-continente indiano. Le malattie mentali sono tutt’oggi considerate un disonore, una macchia di cui vergognarsi e di conseguenza qualcosa da nascondere agli occhi della società.
Accade anche con i cosiddetti “illegal children”, bambini concepiti fuori dal matrimonio spesso in seguito ad episodi di stupro, che possono macchiare per sempre il buon nome di una famiglia.
In Kerala il disonore che si genera da abusi di alcol o droghe, malattie mentali, parentele scomode rappresenta un’infame macchia al nome della famiglia, un grave pericolo per l’eredità genetica dei futuri figli. Tutto ciò che sporca lo status sociale va eliminato, nascosto e dimenticato.
Avere una cattiva reputazione compromette la possibilità di “contrattare” un buon matrimonio. In tutta l’India è ancora vigente il mercato delle doti, secondo cui le condizioni salutari e morali di una famiglia sono la struttura minima necessaria a garantire una stirpe “sana” e “forte”.
Nell’ultimo ventennio il Kerala ha registrato il più alto numero di suicidi al mondo. La causa principale va ricercata proprio nell’atteggiamento di abbandono che la società infligge a tutti coloro che rimangono indietro; il crollo emotivo che vivono i soggetti nelle loro quotidianità trova spiegazione proprio nella pressione sociale che gli viene imposta dall’alto. Ogni giorno commettono suicidio 24 persone e circa 100 tentano di togliersi la vita. L’improvviso boom economico che ha investito il Kerala non ha fatto altro che acuire questo precario equilibrio tra norma e soggettività.
Tutti coloro che sono vittime di questo processo vengono nascosti alla vista della società in strutture gestite da organizzazioni di volontari che assomigliano a vere e proprie prigioni, inadeguate a garantire un percorso riabilitativo, con scarsissime condizioni igieniche e quasi sempre sovraffollate.