Orti domestici a Ulan-Bator
WJ #106“Niente è semplice in questo paese che coltiva l’apparenza della semplicitià” JC Rufin
L’orto domestico: un nuovo respiro nella capitale sovrapopolata?
Nelle periferie di Ulan-Bator, popolate da famiglie di ex pastori nomadi, i progetti di agricoltura urbana rappresentano una nuova opportunità di autosufficienza alimentare e coesione sociale.
Conosciuta in Occidente come il paese dal “grande cielo blu”; adulata per la magnificenza dei suoi immensi paesaggi; apprezzata per il modo di vivere e la sapienza ancestrale dei pastori nomadi; costellata di gers, le yurte, tipiche abitazioni locali degli allevatori; sognata per l’idea di libertà evocata dalla vita nel cuore delle steppe. La Mongolia si veste di queste e di altre realtà. Una tra tutte è il sovrapopolamento urbano, il cui volto si incarna nella capitale Ulan-Bator.
Sin dall’epoca del bronzo, 3000 anni fa, il suo sistema culturale ed economico si é basato su pastorizia e nomadismo, secondo una chiara struttura sociale in cui gli uomini si prendono cura delle mandrie, oltre ad avere un ruolo pubblico nella comunità, e le donne sono dedite alle attività domestiche.
E’ nel corso del XIX e XX secolo che questa società nomade inizia la sua trasformazione. Sotto la dominazione della Cina così come nelle mani della Russia sovietica, le politiche a sostegno dello sviluppo del giovane stato socialista mongolo hanno preso forma nelle riforme di collettivizzazione del bestiame e nell’avvio di produzioni agricole volte principalmente ad approvvigionare lo stato russo. Questi progetti di modernizzazione sono spesso stati accompagnati a politiche di sedentarizzazione, che hanno portato migliaia di famiglie a migrare dalle zone rurali verso le periferie della capitale alla ricerca di migliori mezzi di sostentamento.
Su un territorio popolato nel 2019 da 3 milioni e 200 mila abitanti, UB, che si estende su circa 350 kmq, accoglie oggi quasi la metà della popolazione totale del paese, facendone una capitale sovrapopolata. Questi neo-cittadini si installano, spesso illegalmente, nei gers horoolol, i quartieri-bidonville alle pendici delle colline a nord della capitale, popolati da un mosaico multicolore di yurte e baracche dai tetti in lamiera. Nonostante queso fenomeno non sia nuovo, si è considerevolmente intensificato dal 1990, con il crollo dell’era sovietica e l’inzio di una nuova trasformazione marcata dall’adozione dell’ideologia capitalista. Oggi vi risiede il 60% degli abitanti della capitale.
Le infrastrutture pubbliche sono considerevolmente carenti per questi abitanti, privati di tutti i diritti e abbandonati dai servizi governamentali. E’ loro vietato attaccarsi alla rete elettrica o far visitare i nuovi nati; sono confrontati quotidianamente a problemi di accesso all’acqua potabile, così come alla mancanza di posti nelle scuole. Il 40% dell’inquinamento annuale di UB è causato dal riscaldamento a carbone delle abitazioni, che rende l’aria irrespirabile; diossina e metalli pesanti contaminano acqua e suolo in modo allarmante. Povertà, disoccupazione, alcolismo e insicurezza vi regnano.
La sedentarizzazione ha inoltre reso difficile far fronte ai bisogni alimentari: i prodotti basilari della dieta tradizionale nelle steppe, carne e latticini forniti dalle mandrie ai tempi della pastorizia, in città sono cari e non facilmente accessibili. Essendo l’agricoltura uno degli ultimi settori finanziati dal governo, rispetto per esempio a quello minerario, trovare verdure fresche risulta praticamente impossibile.
E’ in questo contesto che alcune associazioni, come Adra, stanno sviluppando dei progetti di agricoltura urbana. Attraverso il “meal Project” istituito nel 2012, che si inscrive nella politca governamentale di promozione dell’orticoltura, esse si pongono l’obiettivo di creare un’autosufficienza alimentare nel cuore dei gers districts. Nel 2018, 1100 famiglie hanno beneficiato di questo progetto.
Grazie a circa 100 nuovi giardinieri che coordinano il lavoro negli orti del loro distretto, viene favorita la responsabilizzazione della comunità creando un’importante coesione sociale, lontana dalla solitudine che esiste nelle campagne. Le eccedenze della produzione vengono vendute attraverso una rete di “selling points” ai bordi delle strade, attivi durante il periodo del raccolto. Per questo popolo di pastori, la lavorazione della terra presuppone un apprendimento soggetto a nuovi codici. Imparare a identificare le verdure e riconoscerne i semi, conservarli e recuperarli; riconoscere e curare le malattie così come apprendere a cucinare questi nuovi prodotti: tutto ciò implica un nuovo modo di pensare, pazienza e dedizione per acquisire nuovi saperi.
A fianco di questi programmi, la coltivazione domestica è incentivata come opportunità non meno importante, in paricolare per le donne senza reddito: essa permette di ridurre le spese per l’alimentazione, oltre che apportare cambiamenti benefici nella dieta della famiglia. Questi neo-cittadini divenuti nel tempo, a forza di lavoro e ostinazione, gli orticoltori del mercato di di oggi, sono ancora troppo spesso delle donne di età compresa tra i 40 e i 60 anni, mentre i giovani restano piuttosto attirati dalle nuove tecnologie e da tutto ciò che è legato al progresso. Ciononostante, l’emergere di questo nuovo impulso è molto importante e, se pur siano ancora ad uno stadio embrionale, questi progetti sono destinati a crescere.
Resta il fatto che, come afferma l’antropologa sandrine Ruhlmann, “Mangiare, per un mogolo, è magiare un piatto caldo di carne”. E’ infatti all’unisono che ammettono, un sorriso abbozzato a fior di labbra, che la pecora e il suo grasso emblematico conservano nei piatti il loro posto emerito anche lontano dai pascoli, allo stesso modo che il succulento e immancabile süütei tsai (tè al latte).