Oriente cubano
WJ #90Sono circa 230 i chilometri che corrono sulla carretera central che da Santiago de Cuba porta alla provincia di Guantánamo e più precisamente a Baracoa, la più antica tra le città dell’isola
Siamo all’estremità orientale di Cuba, quella parte di isola da cui, agli inizi del Cinquecento, partì la colonizzazione spagnola, e che oggi si presenta per certi versi meno estroversa e più essenziale rispetto ai colori e al trionfalismo dell’Avana. Distante dalla retorica della rivoluzione, questa porzione più nascosta di Cuba ne incarna, però, l’etica del lavoro e del sacrificio, popolata da guajiros e pescatori la cui semplicità del quotidiano rappresenta il motore dell’operoso spirito nazionale.
Questa sorta di isolamento della Ciudad Primada (primo toponimo coloniale di Baracoa) ha temprato l’animo della sua popolazione, che ha saputo reagire col sudore e con la forza delle proprie braccia alla sciagura dell’ottobre scorso, quando l’uragano Matthew, dopo aver mietuto circa 900 vittime nella vicina Haiti, si è abbattuto sulla provincia di Guantánamo provocando ingenti danni. La calamità del ciclone tropicale ha rappresentato un duro colpo per la popolazione locale, manifestatosi non solo nel crollo delle abitazioni, ma anche e soprattutto nei danni provocati alla vegetazione. Le provincie orientali di Cuba vivono, infatti, di lavoro rurale, e l’area montuosa tra Baracoa e Santiago è rinomata per le coltivazioni di banane, cocco, cacao e caffè, ora pesantemente compromesse dal passaggio dell’uragano. Nonostante gli sradicamenti delle colture, i cubani “d’oriente” non hanno tradito la propria indole luchadora, che quasi pare indotta dalla stessa vigorosa spinta della natura tropicale, particolarmente rapida nel rifiorire rigogliosa in questa zona del Caribe. Dopo il ciclone, c’è molto da ricostruire, in una zona del paese in cui esistono poche strade asfaltate e in cui abitazioni scolorite e diroccate rappresentano il contraltare dell’invadenza turistica tangibile in località tradizionalmente più gettonate dell’isola.
Le provincie orientali dell’isola di Cuba non vivono, però, di solo lavoro campesino, ma anche di cultura, e costumi che sopravvivono nel tempo. Santiago de Cuba presenta, ad esempio, un’esuberanza già più marcata rispetto alla vicina provincia di Guantánamo, avendo beneficiato di una vasta ricostruzione in occasione del cinquecentenario della sua fondazione nel 2015. Questa è la patria di alcuni tra i più celebri fenomeni culturali del meticciato afro-caraibico cubano, quali il son e il bolero, ma a godere di larga popolarità in queste zone del paese è anche una controversa tradizione molto diffusa in tutta l’America Latina: quella dei gallos de pelea. Questa usanza rappresenta uno svago per molti uomini delle comunità contadine dell’isola, e anche lo stato si è dovuto adattare, una volta constatata la poca efficacia del deterrente proibizionista. Succede, quindi, che i combattimenti siano tollerati, e che ad essere illegali siano – solo ufficialmente – solo i giri di scommesse, che sottobanco non cessano di smuovere pesos. È forse anche questo un segno della tenacia rasente la testardaggine che tiene viva la fiamma dello spirito cubano. Soprattutto in questa zona, isolata dalla morfologia di un territorio arduo da percorrere e lontana dai cliché caraibici, questo spirito si manifesta con sincerità nelle rughe delle anziane, nei calli dei guajiros, e negli sguardi vispi dei bambini.
Workshop di fotografia sociale tenuto da Giulio di Meo e organizzato da Arcs Culture Solidali e Associazione Hermanos Saiz (Ahs), in collaborazione con Witness Journal.