Oltre lo sport
WJ #149«Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un modo che poche altre cose fanno. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione». Nelson Mandela.
Oltre lo sport come mero scontro tra rivali, come ricerca spasmodica di vittoria e di record, come pure di conflitto tra persone quale forma di dominio, c’è lo sport vero; che è un diritto. Un diritto a uno stile di vita sano, allo sviluppo di relazioni sociali vere tra bambini, tra bambini e ragazzi, tra bambini, ragazzi, adulti, atleti. Un diritto a fare squadra per vivere l’agonismo come confronto e non conflitto/scontro.
Non sempre è così, ma c’è una disciplina che forse più di altre si batte per promuovere tutto questo, l’ultimate frisbee, capace di restituire il piacere della competizione come confronto agonistico a pieno titolo: un’attività di squadra che esalta la preparazione atletica, la tecnica individuale al servizio del collettivo e l’applicazione della strategia di squadra. Sette contro sette in un campo da calcio i giocatori si contendono il disco fino a depositarlo nell’area di meta (v. rugby). Del Basket applicano la regola “dei passi” con squadre corte e giocatori in continuo movimento a disegnare una ragnatela di passaggi fino a trovare il lancio giusto che verrà raccolto dal giocatore nell’area avversaria per fare meta.
A questi elementi comuni ad altre discipline si aggiunge uno svolgimento di gioco con esiti condivisi, riconosciuti, anzi sanciti dagli stessi giocatori con comportamenti e regole che, rifacendosi allo “spirito del gioco”, risolvono ogni possibile contenzioso. Tutti i giocatori, in altre parole, sono responsabili dell’amministrazione e del rispetto delle regole: alla base, come detto, quello spirito del gioco che pone la responsabilità del fair play su ogni giocatore. Nessun giocatore, è il senso ultimo, deve infrangere intenzionalmente le regole, senza comunque rinunciare a una competitività che si inchina al rispetto reciproco delle regole. Le squadre entrano in campo, si schierano, danno inizio alla partita senza che vi sia la presenza giudicante di un soggetto terzo quale l’arbitro.
I motivi o le situazioni per un contenzioso non mancano. Disco fuori o dentro dal perimetro di gioco, ostruzione sul giocatore in possesso del disco, chi ha preso il disco in volo per primo. Ma sembra che gli iniziatori di questa disciplina si siano rifatti a un concetto estremamente semplice: chi se non i soggetti coinvolti sono a conoscenza di ciò che è successo? Solo i due giocatori a contatto possono valutare cosa sia avvenuto, solo loro possono giudicare. Nell’ultimate frisbee sono i giocatori che interrompono il gioco di fronte a una sospetta irregolarità e si riprende dopo che è stato sciolto ogni dubbio.
I giocatori, a fine partita, si riuniscono in cerchio, un cerchio simbolo massimo del fair play; i giocatori si confrontano dopo lo scontro in campo a conferma del principio e della voglia di praticare uno sport rispettando le regole del gioco e gli avversari.
Ogni incontro, inoltre, non è mai un momento a sé stante, di scontro tra due squadre rivali, perché a dare valore alla competizione è la condivisione, è la squadra che trova compimento prima e dopo: tutto viene condiviso, a partire dagli aspetti organizzativi e logistici con la compagine ospitante che si occupa dell’accoglienza degli ospiti.
Ci sono in questo gioco, in questa disciplina, un valore etico e un modello di collettivo e di collettività che si vorrebbero poter esportare fuori dall’ambito sportivo. Se lo sport viene utilizzato come metafora della vita, questa disciplina eccelle sicuramente per il valore etico e non solo sportivo che può rappresentare.
Un altro sport è possibile; è possibile in un altro mondo possibile.