Mi chiamo Firas Abdullah
WJ #105Certe volte bisogna mettersi da parte, osservare, lasciare che siano i testimoni oculari a raccontare, con le immagini e le parole.
“Mi chiamo Firas Abdullah, sono un giornalista siriano. Sono nato l’8 di Dicembre 1993. Sono il più grande di quattro fratelli. Ho vissuto a Jeddah, in Arabia Saudita fino al 2006. L’anno in cui ci siamo trasferiti in Siria, avevo 13 anni. Per 5 anni ho vissuto senza guerra, per 7 in guerra. Da quando sono tornato in patria, fino al 2011, la frase che più ho ascoltato è “stai zitto, i muri hanno orecchie”.
Quando è iniziata la rivoluzione, mi sentivo come se potessi iniziare di nuovo a respirare e a parlare liberamente.
Ho rischiato per 7 anni: per aver scritto e per aver condiviso la mia vita, quello che stavo vivendo e quello che stava succedendo nel Ghouta. Ho perso parenti, amici e, infine, ho perso la nostra, calda, casa di famiglia. Ogni volta che perdo uno dei miei amici, sento che una parte della mia anima va via con lui. Centinaia di storie sono accadute ogni giorno, durante l’assedio e i bombardamenti, giornalieri, ho cercato di raccontare il più possibile di quello che stava succedendo intorno a noi.
Il 10 febbraio 2018, due attacchi aerei russi hanno colpito proprio il nostro quartiere, a ovest di Ghouta.
Era prima del tramonto, ho chiamato mio padre e sono andato immediatamente verso la nostra casa: era proprio come appare nelle foto, distrutto, nulla sembrava più com’era. Ricordo di come ho documentato quei missili nonostante, il dolore mi stringesse la gola e il naso. Quella casa era la casa dei miei nonni, la casa dove ci riunivamo ogni fine settimana, parlando e ridendo.
Dopo tutto, ho detto a me stesso ‘Oh Dio, ho fatto del mio meglio per combattere questo mondo di ingiustizie, cosa devo fare di più? Sono tutti contro di noi, nessuno ci sta ascoltando, non mi fermerò’”.
Con queste parole Firas Abdullah racconta la sua Ghouta, i sobborghi nei dintorni di Damasco duramente colpiti da bombardamenti durante la guerra civile siriana. Secondo alcune fonti sono state utilizzate perfino le armi chimiche dal governo del presidente di Bashar al Assad. Ciò che rimane sono gli sguardi vacui dei bambini, delle famiglie che fuggono dai bombardamenti. Ma è tempo di mettersi da parte. Parlino le foto.
Il lavoro di Firas sarà in mostra a Bologna, dal 24 maggio al 9 giugno, all’interno Festival IT.A.CÀ, nella sezione fotografia curata dall’Associazione TerzoTropico, in collaborazione con Qr Gallery e Witness Journal.