Masai

WJ #116

“La Terra non ci è stata data dai nostri antenati, ma prestata dai nostri figli” (detto Masai)

I Masai sono anche chiamati “figli della Savana” e abitano in alcuni villaggi sugli altipiani tra Kenya e Tanzania. La loro struttura sociale è fondata sulla suddivisione della popolazione in clan. A capo dell’intera comunità si trova il consiglio degli anziani, che prende decisioni collettive e scandisce i riti di passaggio da un’età all’altra. La società Masai è di matrice patriarcale: le donne sono subordinate alla volontà degli uomini e nel corso della loro vita, oltre a essere madri, svolgono lavori di cura. Fino a qualche tempo fa, l’iniziazione all’età adulta delle ragazze ha previsto la mutilazione genitale, pratica oggi ritenuta illegale e violenta ma non del tutto archiviata. Agli uomini invece, guerrieri-pastori, è concesso avere più mogli e imparano fin da piccoli a badare al bestiame. Allevamento e agricoltura sono i mezzi di sostentamento di questa popolazione una volta dedita alla transumanza ma oggi sempre più sedentaria a causa dei numerosi espropri di terreno.

Nell’elenco dei Paesi africani risucchiati dalla mentalità del turismo “usa e getta” c’è da ormai diverso tempo la Tanzania. Qui il turismo di massa si mescola in alcuni casi ad un ulteriore e pericoloso fenomeno: il land grabbing, ossia l’accaparramento di terre senza il consenso delle comunità residenti. Negli ultimi decenni il governo locale ha creato delle “game controlled area” o zone di caccia, dove ogni anno si riversano centinaia di turisti attirati dalla possibilità di abbattere animali esotici pagando ingenti somme di denaro.

Uno dei casi più noti a livello internazionale è quello del villaggio di Loliondo, nel distretto di Ngorongoro, vicino al celebre Parco Nazionale del Serengeti. Qui nel 1990 il governo concesse alla Otterlo Business Corporation (azienda con sede negli Emirati Arabi e legata alla famiglia dell’emiro) un appezzamento di terreno con diritti esclusivi di caccia. Anni di proteste e azioni giudiziarie sono valsi alla popolazione Masai del posto solo violenze, espropri e intimidazioni fino a che, nel 2017, la game reserve è stata finalmente cancellata. Una vittoria che fa ben sperare in vista di un altro processo di cui si attende l’esito, quello relativo alla causa che i locali hanno intentato contro la Thomson Safaris, una società con sede a Boston che nel 2006 ha ottenuto una concessione della durata di 96 anni per gestire safari di caccia su un’area di 5000 ettari attorno a Loliondo.

Intanto, però, la distruzione dei pascoli e lo stravolgimento delle proprie abitudini ha condotto i Masai a emigrare, sfruttando i propri usi e costumi per ricavare qualche soldo. Non è insolito incontrare sulle spiagge di Zanzibar, o lungo la costa, uomini e donne di questo fiero popolo impegnati a lavorare in strutture alberghiere o a intrecciare collanine ed esibirsi in danze tribali. Poi, una volta terminata la stagione turistica, un velo di incertezza torna a stendersi sul futuro di queste persone.

Il reportage

Scheda autore

Massimiliano Pescarolo

MASAI 14

Massimiliano Pescarolo è un fotografo classe 1973. Nel 1999 arriva il primo reportage con l’amico reporter Maurizio Faraboni, grazie ad un soggiorno in Benin e Togo ospite del Padri Comboniani. In seguito a quella toccante esperienza di vita e di umanità, la scelta di nuovi viaggi è legata alla ricerca di storie da raccontare. Tutto questo lo spinge a intraprendere numerosi viaggi in Africa, nel Maghreb, in Medio Oriente e nel Centro America per conto di ONG e Onlus. Alcune delle sue foto sono state pubblicate da La Repubblica, Il Giornale, InsideOver, Private, L’Avvenire, L’Azione, L’Informatore, Il Corriere di Novara ed hanno fatto parte di una mostra al Centro Italiano della Fotografia D’Autore e presso il Centro Studi Africani dell’Università di Torino. È stato finalista al Festival della Fotografia Etica di Lodi nel 2019.

Fotocamera: Fujifilm XT2 e X100F
Obiettivo: Fujifilm 16 mm f/1.4 e 23 mm f/2.0

English version

Masai

by Massimiliano Pescarolo

Text by Alessia Manzi and Antonio Oleari

“We do not inherit the Earth from our ancestors, we borrow it from our children” (Masai saying)

The Masai are also called “children of Savannah” and live in villages in the highlands between Kenya and Tanzania. Livestock and agriculture are the livelihoods of this population today more and more sedentary due to the numerous expropriations of land.

In Tanzania mass tourism is mixed in some cases with a further and dangerous phenomenon: land grabbing. In recent decades the local government has created “game areas” or “hunting areas” where hundreds of tourists flock every year attracted by the possibility of killing exotic animals by paying huge amount of money.

In the meantime, the destruction of the pastures led the Masai to emigrate, exploiting their habits and customs to make some money. It is not unusual to meet on the beaches of Zanzibar, or along the coast, men and women of this proud people busy working in hotels or weaving necklaces and performing tribal dances. Once the tourist season is over, a veil of uncertainty returns to cover the future of these people.