L’ondata bianca
WJ #102“Se muoiono i pastori, muore la Sardegna”; così recitano i cartelli della protesta in atto in questo febbraio 2019, che potrebbe raggiungere il culmine con le elezioni previste a breve sull’isola.
Con le fotografie del reportage ancora in corso, Alessandra Cecchetto racconta direttamente dalle viscere della sua Sardegna la forte e sentita protesta dei pastori dell’isola, che occupa ormai da giorni anche le colonne delle testate nazionali. Per più di un motivo.
Ha avuto inizio il 6 febbraio, quella che ormai viene comunemente chiamata “l’ondata bianca’ che sta travolgendo tutti i comuni della Sardegna. Nell’occhio del ciclone c’è la rivendicazione di un prezzo di vendita equo e dignitoso del latte ovicaprino, arrivato quasi ai minimi storici con gli attuali 0.60 centesimi al litro; prezzo a malapena sufficiente per garantire ai pastori la copertura delle spese di produzione a guadagno zero.
Con un costo vivo che si aggira in media sui 50/60 euro giornalieri per il fieno, i mangimi, le cure veterinarie e il mantenimento complessivo del bestiame, il magro introito viene infatti interamente devoluto alla struttura, senza riuscire a garantire nemmeno la sopravvivenza di chi ci lavora. Da qui la disperazione dei pastori, che come gesto simbolico hanno deciso di versare parte del loro latte lungo le strade; un’azione che ha suscitato a tratti critiche e scalpore, colpendo tuttavia nel segno: ottenere l’attenzione mediatica e sensibilizzare l’opinione pubblica e politica su un tema che non può più aspettare.
La crisi di settore e il ribasso del prezzo del latte dipendono in larga parte dalle eccedenze di produzione del Pecorino Romano, la cui materia prima proviene principalmente dalla Sardegna. Sono infatti 12.000 gli allevamenti sull’isola, che da sola ospita il 40% di tutte le pecore presenti in Italia e produce circa 3 milioni di litri di latte utilizzato primariamente nella produzione di Pecorino Romano, ma anche di Pecorino Sardo Dop e del Fiore Sardo Dop.
Il trend contrastante del Pecorino Romano in particolare, passato repentinamente da un sensibile aumento ad una forte contrazione delle vendite, ha causato una sovrapproduzione di 60.000 quintali di prodotto invenduto, che ha determinato un crollo sul mercato del costo della materia prima, il tutto a discapito dell’anello più debole della filiera: i pastori. Se si considera che servono cinque litri di latte per arrivare a produrre un chilogrammo di formaggio e che il costo medio di acquisto per la grande industria è di circa 3 euro al chilo a fronte dei 15 euro alla vendita, il conto di chi sta pagando il prezzo più alto è presto fatto.
Per trecentosessantacinque giorni di lavoro ininterrotto l’anno, una ventina di chilometri in media percorsi ogni giorno, per intere famiglie che al risveglio non conoscono che l’alba, la richiesta è il riconoscimento minimo di rispetto e dignità del loro lavoro. L’ultima cosa che si vorrebbe arrivare a fare è quella di dover gettare per strada il duro frutto delle proprie fatiche. Il latte versato non è pastorizzato e dunque non commestibile e necessariamente il bestiame deve essere munto giornalmente per evitare l’insorgere di malattie quali mastiti ovine e caprine.
Alcuni pastori lo hanno fatto una prima volta come gesto simbolico, altri hanno deciso di continuare anziché versarlo nei caseifici deputati alla trasformazione del prodotto, ma la voce è dappertutto chiara e condivisa: la protesta non si fermerà fino al raggiungimento dell’accordo di 1 euro + iva al litro.
L’unica incognita restano i tempi; c’è chi parla di un periodo di transizione a 80 centesimi al litro e c’è chi vorrebbe arrivare subito almeno all’euro. Un ruolo importante in questo senso potrebbero giocarlo i candidati alle prossime elezioni politiche del 24 febbraio, quando la protesta potrebbe sfociare nel blocco dei seggi elettorali.
A tutto questo si affianca la necessità di una maggior tutela rispetto alla commercializzazione di prodotti alimentari provenienti dai paesi comunitari, che oltre a privare pastori, allevatori e agricoltori di una buona fetta di mercato, vengono talvolta contraffatti, marchiati e venduti come prodotti sardi. Maggiori attenzioni, controlli, giustizia, rispetto e l’equo riconoscimento di un duro lavoro fatto di sacrifici è ciò che chiedono tutti i pastori sardi, uniti da una scritta che si legge sui cartelloni di protesta: “Se muoiono i pastori, muore la Sardegna”.