Limbus

WJ #92

La storia degli scalpellini dello Zhejiang che vivono e lavorano in due piccoli centri piemontesi racconta bene la difficoltà di chi si trova, culturalmente parlando, in una sorta di terra di mezzo tra il proprio paese di origine e quello in cui ha scelto di vivere

 

Barge e Bagnolo sono due piccoli comuni al cospetto del Monviso dove da sempre l’economia è legata all’estrazione della pietra. Questa ricchezza ha provocato nel corso del Novecento diverse ondate migratorie. I cinesi sono arrivati intorno agli anni Novanta alla ricerca di un’autonomia economica che la loro Cina allora non poteva garantirgli. Nel corso degli anni quella dei due comuni piemontesi è diventata la seconda comunità cinese più numerosa in Europa in rapporto agli autoctoni ed ora gli abitanti di origine asiatica rappresentano circa il 12% della popolazione complessiva.

Questo flusso migratorio è avvenuto secondo un iter consueto: i primi ad arrivare furono i padri, tutti provenienti dallo Zhejiang, una regione a sud est della Cina, molti di loro già impegnati nella lavorazione della pietra. Dopo alcuni anni cominciarono i ricongiungimenti familiari grazie ai quali arrivarono in Italia mogli e figli. Le mogli trovarono occupazione in lavori agricoli stagionali come la raccolta della frutta e della verdura nelle fertile pianura cuneese; i figli, giunti per ultimi in questa neo comunità, furono strappati dal contesto socio culturale cinese nel quale erano cresciuti con i nonni e si ritrovarono proiettati, nel giro di qualche ora d’aereo, in una realtà di difficile comprensione.

Oggi sono proprio loro a vivere una sorta di conflitto: da un lato sono influenzati dai retaggi della cultura cinese, impersonata dalla famiglia, che impone loro una visione severa della vita e non lascia spazio ad alcun confronto; dall’altro i coetanei italiani che incontrano a scuola propongono loro il modello occidentale e con esso una visione più ambiziosa della vita (ma per loro, in ogni caso, di difficile comprensione). Sembra una situazione quasi dantesca, un limbo dentro il quale, tutto è sospeso, nebuloso: le nuove generazioni si sentono inadeguate perché non riescono a riconoscersi nei valori tradizionali dei propri padri ma allo stesso tempo non si sono ancora integrate completamente nel tessuto sociale del territorio in cui vivono. Un’esistenza, la loro, sospesa tra una terra che non è più Cina ma che non si può ancora chiamare Italia.

Il reportage

Scheda autore

Matteo Portigliatti

Raccontare il mondo. O piccole porzioni di esso, è il desiderio ultimo di Matteo Portigliatti, giavenese 39enne che solo qualche anno fa si è scoperto fotografo. Matteo Porigliatti è nato a Torino nel 1979. È un giornalista pubblicista freelance italiano specializzato in documentari e fotogiornalismo. Dopo la laurea in Optometria, frequenta un master in Fotografia e Visual Design allo IED, a Torino, nel 2015.

Fotocamera: Fuji XT1
Obiettivo: 18-55mm

English version

Limbus

Photography by Matteo Portigliatti

Story edited by Antonio Oleari

 

Immigration has always redesigned the territorial and human geography, in particular it transforms the life of new generations

 

In two small rural municipalities in the province of Cuneo, at the foot of the Alps, lives one of the largest chinese communities in Europe. In a world that does not seem to belong to them, their existence appears like a deep, dark and gray area: it’s no longer their China but not yet Italy. And the more you enter this limbo, the more you discern nothing.