L’esodo dei Rohingya
WJ #94I Rohingya sono una minoranza musulmana del Myanmar, costantemente perseguitati dalle autorità buddiste. L’unica speranza che rimane a queste persone è fuggire dalle violenze e dai soprusi attraversando montagne, fiumi e risaie. Erberto Zani ha raccontato il loro viaggio verso il vicino Bangladesh
Fantasmi. Senza dimora, senza un’identità e diritti che li proteggano. I Rohingya, minoranza etnica in prevalenza musulmana proveniente dalla regione di Rakhine in Myanmar, non conoscono pace. Dal 1978 sono perseguitati dal governo birmano e dalle comunità in maggioranza buddiste che reprimono nel sangue ogni tentativo di autoriconoscimento. Questo perché i Rohingya non sono riconosciuti come una delle 134 minoranze del Paese e questo vulnus impedisce agli appartenenti a questa etnia di trovare occupazione o di usufruire di servizi. A Sittwa, capitale di Rakhine, il quartiere di Aungmingalar è diventato a tutti gli effetti il ghetto dove vivono circa quattromila Rohingya in condizioni precarie. In fuga da soprusi e violenze, i Rohingya hanno cercato riparo in altri Paesi vicini, soprattutto il Bangladesh, trovando rifugio in veri e propri campi profughi. Dopo quello alla fine degli anni ‘70, nel 1991 si è verificato un altro grande esodo, per poi riproporsi, con imponenti ondate, anche negli anni recenti. Da ottobre 2016 a oggi, oltre 600mila Rohingya sono scappati nel vicino Bangladesh per sfuggire ad una nuova e più sistematica pulizia etnica.
Solamente durante la giornata del 17 ottobre 2017, 15mila persone hanno attraversato il confine, arrivando nelle risaie bengalesi di Palangkhali. Stremati, dopo dieci giorni di fuga tra giungle e montagne, si sono accampati lungo sottili strisce di terra, aspettando di venire smistati negli immensi campi profughi allestiti nelle zone di Thangkhali e Balokhali.
Molti gruppi di migranti vivono perennemente lungo il confine tra Bangladesh e Myanmar. Sopravvivono nei campi, lungo la strada, costantemente sotto il controllo dell’esercito statale, in più di un’occasione coinvolto in rappresaglie e violenze.
E sono tanti i bambini. Unicef stima che siano 340mila i minori in fuga. Oltre 12mila a settimana quelli che fuggono da fame e violenza. Grandi speranze erano riposte nella neopresidenza del premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, subentrata al regime militare che per decenni ha paralizzato il Paese. Ma la fiducia, fino a oggi, non è stata ripagata.