Left behind
WJ #92L’emigrazione non ha un impatto solo economico e demografico, ma separa anche nuclei famigliari e costringe i figli a crescere lontano dai propri genitori. Il lavoro di Gianmarco Carlone ci porta a conoscere i “left behind” della Repubblica Moldava
Dopo il 1989 – anno in cui sono caduti i loro regimi comunisti – i paesi dell’ex Patto di Varsavia hanno vissuto un periodo – per certi aspetti non ancora concluso – caratterizzato da notevoli cambiamenti sociali ed economici. Il passaggio ad una economia di libero mercato, quasi sempre non regolamentata da nessuna legge e che per questo ha visto spesso la nascita di una forte “casta” di oligarchi, è stata accompagnata da un repentino ritiro dello Stato anche nel campo dei servizi sociali e di assistenza. Il periodo di transizioni tra il vecchio e il nuovo sistema economico ha portato una rapida esplosione del tasso di disoccupazione e della povertà. Per molte persone dell’ Est Europa una delle poche opzioni per trovare un lavoro, e garantire quindi un sostegno alle proprie famiglie, diventò l’emigrazione. Due dei paesi dove questo fenomeno ha raggiunto dimensioni molto elevate – ed è così ancora oggi – sono la Romania e la Moldova, i cui cittadini sono partiti verso i paesi dell’Europa occidentale (Spagna, Italia, Germania) o verso la Russia.
Intere aree di questi due paesi – in particolare quelle rurali- hanno visto drasticamente diminuire la propria popolazione. Questo fenomeno è stato per anni anche incoraggiato – o perlomeno non contrastato – dalle istituzioni moldave e rumene, in quanto garantisce un sostegno non indifferente all’economia: le rimesse degli emigranti costituiscono infatti una voce non indifferente del PIL e aumentano il potere d’acquisto dei famigliari degli emigranti rimasti in patria.
Queste considerazioni prettamente economiche non tengono però conto delle conseguenze sociali di questa particolare emigrazione, in particolare la divisione delle famiglie e in particolare la lontananza dei genitori (soprattutto le madri) dai figli, anche molto piccoli. I flussi migratori vedono tra l’altro ancora oggi una predominanza femminile: le donne rappresentano il 69% del totale dei migranti e trovano lavoro in altri paesi europei come badanti e colf.
I bambini che lasciano nei propri paesi vengono cresciuti dai nonni, da altri parenti o anche da vicini di casa o semplici conoscenti. Sono chiamati “orfani bianchi”. Oltre alla mancanza affettiva di una madre o un padre (se non di entrambi), a molti manca anche un adeguato supporto materiale in quanto non tutti i genitori emigrati riescono sempre ad inviare somme di denaro sufficienti. Anche per questo, altri bambini, ancora meno fortunati, finiscono in orfanotrofi o altre istituzioni, spesso situate in strutture fatiscenti costruite nel periodo comunista.
Secondo dati Unicef in Romania sarebbero almeno 350.000 il numero di minori “left behind” con almeno uno dei genitori all’estero da almeno un anno; in Moldova secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (IOM) i bambini sarebbero almeno 50.000.
Gianmarco Carlone ha realizzato questo reportage sugli orfani bianchi della Moldavia tra il 2016 e la prima parte del 2017.