Le donne di Sapa
WJ #142“Il nostro Paese è il Dai Viet. E’ una nazione civile, ha i suoi fiumi, le sue montagne,
benché la sua storia abbia conosciuto grandezze e declini, non ha mai mancato di generare eroi”
(Dal Bình Ngô đại cáo, Poema di Nguyễn Trãi del XV secolo)
Nel cuore dell’antico Vietnam del nord si trova Sapa, piccola città di circa 7000 abitanti, capitale dell’omonimo distretto a pochi chilometri dal confine cinese. Qui, e soprattutto nei villaggi circostanti come Ta Van, Lao Chai, Ta Phin e oltre, la vita quotidiana è intrecciata al lavoro della terra e al ritmo delle stagioni.
Le linee dei terrazzamenti, che ne caratterizzano il paesaggio, raccontano storie di fatica, perseveranza e resilienza. Non sono solo il frutto del lavoro di intere generazioni, ma anche il cuore pulsante delle comunità che ne hanno tratto sostentamento per secoli. È difficile coltivare il riso a queste altezze, il suolo è povero ed asciutto. Per lungo tempo la coltura più redditizia è stata il papavero da oppio, utilizzato nella medicina tradizionale, che ha garantito un flusso costante di denaro. Nel 1993, il governo vietnamita proibì la coltivazione di oppio, spingendo le comunità locali ad abbracciare nuove colture come alberi da frutto e verdure. Tuttavia questi nuovi raccolti offrono guadagni appena sufficienti per la sopravvivenza.
È in questo contesto che emerge l’importanza vitale delle tradizioni artigianali. Le donne straordinarie che popolano queste valli sono vere e proprie artiste del tessuto e del ricamo, dai fili di canapa intrecciati a mano creano con maestria tendaggi e accessori. Oltre alla tessitura e al ricamo, sono guardiane di antiche tecniche di tintura a base naturale utilizzate per il batik e il broccato. Questi manufatti non solo diventano opere d’arte che narrano la storia di un popolo e della sua connessione profonda con la terra, ma, trasportati per tortuosi sentieri, offrono nuove forme di sostentamento grazie alla vendita ai turisti.
Il Vietnam è abitato da 53 gruppi etnici, molti dei quali dispersi nelle zone di montagna. Questi venivano chiamati collettivamente Montagnard dai francesi durante l’occupazione coloniale. Ogni gruppo ha la sua storia, lingua, abiti, tradizioni e modi di vita differenti. Alcuni hanno diverse centinaia di migliaia di membri altri sono ormai ridotti a poche centinaia. I Viet chiamano ancora queste minoranze etniche del nord col termine di Moi, “selvaggi”. Non ci sono discriminazioni, ma le tribù delle montagne rimangono in fondo alla scala economica e sociale, spesso lontano anche dall’assistenza sanitaria e scolastica. In particolare le donne, da sempre escluse da una società patriarcale, sono frequentemente relegate a occuparsi della casa, dei figli, della tessitura e del duro lavoro nei campi, senza poter accedere a nessuna forma di educazione. Negli ultimi anni stanno iniziando a ritagliarsi il loro spazio nella società studiando l’inglese da autodidatte, conversando con gli stranieri in visita sempre più numerosi, e riuscendo poi a trovare lavoro come guide per i turisti, offrendo ospitalità nelle case di famiglia (homestay) e vendendo i loro prodotti artigianali.
Se da un lato il crescente flusso turistico ha contribuito all’emancipazione di queste donne, dall’altro la deforestazione dovuta alle attività estrattive, la costruzione di grandi dighe idroelettriche e moderne strutture turistiche mette a rischio la scomparsa di questi popoli e della loro cultura profondamente legata al territorio.