La Ruta del Che

WJ #94

A cinquant’anni dall’uccisione del Che, un workshop fotografico ripercorre le orme del pensiero guevarista dell’hombre nuevo, solidale, disponibile e pronto a mettersi in gioco

In qualunque libro di tecnica fotografica si può leggere il segreto di un paesaggio notturno nel quale brilla la luna piena, ma sulla mia retina c’è un bagno sensibile di altra natura” – Ernesto Che Guevara

Ci siamo inoltrati tra le strade del remoto paesino di La Higuera per incontrare i nostri simili, ma soprattutto per scrollarci di dosso quello che lo psicoanalista Benayasag definisce “l’epoca delle passioni tristi” che caratterizza i nostri tempi. Tempi nei quali un senso pervasivo di impotenza e incertezza tende a farci rinchiudere in noi stessi e a pensare che niente e nessuno possano cambiare la realtà. Laggiù, con l’esortazione di Tom Benettollo, abbiamo ritrovato la nostra indole di lampadieri, coloro che nella notte buia, con un bastone sulle spalle cui appendevano una lampada, camminavano nell’oscurità illuminando la strada a chi seguiva.

Partiti il 5 ottobre, siamo arrivati a Santa Cruz, capitale economica della Bolivia, dove abbiamo affittato 2 camionette e siamo partiti sulle tracce del Che. Una sosta a Samaipata, per poi arrivare in serata a Vallegrande, la piccola cittadina coloniale dove fu esposto il corpo del Che quel 10 di ottobre del 1967.

Lì abbiamo incontrato la nostra guida, Gonzalo Guzman, con il quale abbiamo visitato la lavanderia dell’ospedale, dove il Che fu immortalato nella famosa foto che riecheggiava il Cristo del Mantegna. Siamo stati nella morgue, dove gli tagliarono le mani, e in entrambi i luoghi abbiamo letto con commozione le frasi che in tanti anni tanti compagni di tutto il mondo hanno scritto. Alcuni di loro sono Susana Ozinaga, l’infermiera 84enne che lavò il cadavere del Che, e Jorge Gonzales, coordinatore degli antropologi cubani che nel 1998 ritrovarono i suoi resti.

Una strada sterrata e sinuosa ci ha poi condotti a Pucarà, paesino che ha aperto la strada alla lunga marcia per La Higuera. Qui abbiamo fraternizzato nel ricordo del Che con Juan Martin, suo fratello 74enne, per poi visitare la escuelita dove Ernesto fu tenuto prigioniero e poi assassinato dal sergente Mario Teran.

Attraverso arbusti spinosi, lungo la strada per la Quebrada del Churo, siamo giunti alla spianata dove il Che fu catturato. Abbiamo conosciuto Florencio Aguilar, l’ottantenne padrone del campo che aveva affittato a 8 contadini tra cui Pedro Pena, colui che denunciando la presenza del Che ai militari lo fece catturare.

Le tappe successive sono state Abra del Picacho e Alto Seco, nella quale abbiamo conosciuto il testimone dell’unico villaggetto dove i guerriglieri erano riusciti a parlare con i contadini.

Una volta tornati in aereo a Cochabamba, abbiamo conosciuto Oscar Olivera, il portavoce della famosa e vittoriosa guerra dell’acqua del 2000 contro la privatizzazione ad opera di un consorzio statunitense spagnolo e italiano. Il tempo di tornare a Santa Cruz, ripensare alle esperienze vissute e alle persone incontrate, poi il rientro in Italia, pronti, attraverso i nostri presidi territoriali Arci, a raccontare la nostra esperienza e il rinnovato desiderio di contribuire, per quanto possibile, alla costruzione di quel mondo che il Che ci aveva indicato.

Le immagini sono state realizzate durante il Workshop di fotografia sociale tenuto da Giulio Di Meo e organizzato in collaborazione con l’Arcs. Il corso si è tenuto in Bolivia dal 05 al 16 Ottobre 2017.

Il reportage

English version

La Ruta del Che

 

Photography by Laura Alicino, Simona Di Matteo, Nico Farnese, Ilaria Magariello, Aline Oliveira e Rossella Paiano

Story edited by Ugo Zamburru

 

A photographic workshop in the mountains of Bolivia to celebrate and remember Ernesto Che Guevara 50 years after his murder in La Higuera

 

Fifty years after the murder of Ernesto Guevara, a photographic workshop retraces the last phases in the life of the great revolutionary. Traveling through the streets of La Higuera made us rejoin our neighbours and abandon the feeling of what psychoanalyst Benayasag has described as “the age of the sad passions”. Over there, we found ourselves as lamps in the darkness, enlightening the paths for those who will follow.