La Marea Rossa di Kathmandu

WJ#153

“Ho scoperto che potevo dire cose con colori e forme che non potevo dire in nessun altro modo…cose per le quali non avevo parole”

Georgia O’Keeffe

Ogni anno, il terzo giorno dopo la luna nuova nel mese di Bhādra secondo il calendario lunare indù (solitamente tra agosto e settembre), le donne nepalesi, vestite di rosso, affollano templi e strade per celebrare l’Haritalika Teej, una delle festività più sentite dell’induismo nepalese. Questo festival, dedicato alla dea Parvati e al suo amore incrollabile per il dio Shiva, simboleggia devozione, forza e prosperità coniugale.

Durante l’Haritalika Teej, le donne—sposate e nubili—osservano un rigoroso digiuno, pregano per la felicità e la longevità del loro marito (o per trovare un compagno ideale) e si riuniscono per cantare e danzare davanti a un tempio, in uno spazio aperto o nella casa materna. Le origini di questa festività affondano in un’antica leggenda, secondo cui la dea Parvati, per evitare il matrimonio imposto dal padre con il dio Vishnu, si rifugiò nella foresta. Si racconta che dopo 108 rinascite, conducendo sempre una vita ascetica, Parvati realizzò un lingam usando capelli e foglie per pregare Shiva a prenderla come sposa. Resosi conto della sua devozione, Shiva decise di sottoporla ad un’ultima prova: si travestì come il ricco dio Vishnu e viaggiò su una splendida carrozza per incontrarla e sedurla, ma Parvati rimase impassible. A quel punto il dio rivelò la sua identità e esaudì il suo desiderio, sancendo l’unione che l’Haritalika Teej continua a celebrare oggi.

Più che un semplice rituale religioso, l’Haritalika Teej rappresenta un momento di aggregazione femminile. Tutte le donne della famiglia si adornano con i loro gioielli e abiti più raffinati – saree rossi o lehengas con intricati ricami – e si truccano con i tradizionali elementi nepalesi e indiani – tika, bindi, kājal, kumkum, mehndi– per poi fare visita ai templi che ospitano la statua e il linga di Shiva.

Per le strade di Kathmandu si riversa una marea rossa di donne che si dirigono a visitare i templi di Durbar Square o Pashupatinath, aperti solo per loro. Aspettano per ore in coda il loro turno per poter entrare e rendere omaggio a Shiva bruciando incensi e stoppini imbevuti di Ghee e facendo rintoccare la campana nella speranza che le proprie preghiere vengano ascoltate.

Tra i vari rituali la Puja principale si svolge con l’offerta di fiori, dolci, sindoor e denaro. Le donne pregano sedute in semicerchio con al centro un Brahmano che recita il Katha e guida le preghiere. Il rituale dura anche due ore.

Mentre alcune donne celebrano l’Haritalika come un rituale religioso tradizionale, molte altre lo vivono oggi in chiave moderna, considerandolo un’occasione per riunirsi in famiglia nella casa materna, libere dagli obblighi domestici. Qui trascorrono la giornata con i propri genitori, fratelli e sorelle, cantando, ballando e mangiando cibi tradizionali in un clima di libertà e armonia.

Le canzoni rappresentano un elemento centrale della festa e costituiscono un vero e proprio genere di commento critico per le donne nepalesi. Ogni anno, le donne – e talvolta anche gli uomini – compongono nuovi brani per l’Haritalika, offrendo una visione alternativa della posizione femminile nella famiglia e nella società. Attraverso testi che mettono in discussione le dinamiche domestiche e le più ampie pratiche sociali e politiche, queste canzoni diventano uno strumento di espressione e riflessione. Nei loro versi, le donne raccontano esperienze personali e collettive, denunciando le restrizioni a cui sono spesso sottoposte: dalla scelta di seguire o meno certi rituali – come il digiuno o il khutta ko pani, in cui la moglie beve un sorso dell’acqua usata per lavare i piedi del marito – fino alla libertà di decidere il proprio futuro coniugale, ancora oggi frequentemente determinato dalla famiglia secondo un rigido sistema di caste. Sebbene ufficialmente abolito, questo sistema continua a influenzare profondamente la società nepalese.

Negli ultimi anni, tuttavia, la natura delle canzoni sta cambiando: da un genere alternativo, che dava spazio alle storie e alle denunce delle donne, si sta progressivamente trasformando in un fenomeno commerciale, in cui gli artisti mirano più alla popolarità sui social media che a dar voce a istanze sociali.

Queste festività restano comunque una parte essenziale della vita delle donne, e la loro evoluzione continua a influenzare profondamente il percorso di autorealizzazione femminile e il futuro delle donne nella società nepalese.

Il reportage

Scheda autore

Marco Riccioli

Marco Riccioli nasce a Milano nel 1977. Chimico e grande appassionato di musica si avvicina alla fotografia durante i suoi viaggi alla scoperta delle culture non-occidentali. Si dedica ai fenomeni migratori e alla street-photography pubblicando reportages socioculturali sull’India e il Sud-Est Asiatico.

Fotocamera: Fuji X-T5
Obiettivo: Fujinon 16 - 80 mm

English version

The Red Tide of Kathmandu

Photo by Marco Riccioli

Texy by Marco Riccioli and Beatrice Moioli

Every year, on the third day after the new moon in the Hindu lunar month of Bhādra (typically August or September), Nepalese women dressed in red gather in temples and streets to celebrate Haritalika Teej, one of the most significant festivals in Nepalese Hinduism. Dedicated to the goddess Parvati and her unwavering devotion to Shiva, this festival symbolizes marital devotion, strength, and prosperity.

During Haritalika Teej, both married and unmarried women observe a strict fast, pray for their husbands’ happiness and longevity (or for an ideal partner), and come together to sing and dance in temples, open spaces, or their maternal homes. The festival is rooted in an ancient legend in which Parvati, to escape an arranged marriage with Vishnu, sought refuge in the forest. After 108 ascetic lifetimes, she finally won Shiva’s devotion through her unwavering penance, a union that Haritalika Teej continues to celebrate today.

Beyond its religious significance, the festival is a moment of female solidarity. Women adorn themselves with elaborate jewelry and traditional attire—red sarees or intricately embroidered lehengas—along with Nepalese and Indian beauty symbols such as tika, bindi, kājal, kumkum, and mehndi. In Kathmandu, a sea of red-clad women fills the streets, heading to temples like Durbar Square or Pashupatinath, where they wait in long queues to offer prayers, incense, and sacred items to Shiva. The central puja ritual, led by a Brahmin priest, involves offerings of flowers, sweets, sindoor, and money, and can last up to two hours.

While some women observe Haritalika Teej as a religious ritual, others see it as a modern celebration—an opportunity to reunite with family in their maternal home, free from household duties, enjoying traditional food, singing, and dancing in an atmosphere of joy and liberation.

Songs play a crucial role in the festival, serving as a form of social commentary. Each year, women—and sometimes men—compose new songs that challenge domestic dynamics and broader political and social norms. Through these lyrics, women express personal and collective experiences, highlighting restrictions they face, from rigid fasting rituals to the societal pressure of arranged marriages within the caste system, which, despite being officially abolished, remains deeply ingrained.

In recent years, however, the nature of these songs has changed. Once a platform for women’s voices and social critique, they are increasingly shifting toward commercialized entertainment, with artists prioritizing social media popularity over advocacy.

Nevertheless, Haritalika Teej remains a vital part of women’s lives, and its evolution continues to shape female self-empowerment and their role in Nepalese society.